(Foto ANSA/SIR)

Come ogni anno siamo arrivati a celebrare solennemente i Santi: in un unico sguardo contemplativo abbracciamo tutta la Gerusalemme celeste e i suoi cittadini, e non possiamo non sospirare, invidiando (santamente) la gioia serena di chi vive già nella vittoria definitiva di Dio.
Quando infatti il nostro sguardo riscende alla nostra altezza, nella polvere e nel rumore delle vie della terra, troviamo gli strascichi (psicologici prima ancora che fisici) di una pandemia, i clangori e le grida della guerra, gli ardori indebiti di una montante crisi ecologica… è proprio vero: “vita hominis militia”, “la vita dell’uomo è una battaglia”, e gioia e felicità sembrano costituirsi sempre, qui, come piccole oasi tra una sfida e l’altra. Soltanto in Cielo saremo beati, in greco “macharioi”, ovvero “privi di tormento/turbamento”.

Quella della beatitudine è una gestazione travagliata, come ci dice anche l’Apocalisse, che descrive la Chiesa in preda alle doglie del parto mentre è insidiata dall’antico serpente (cfr. Ap 12, 2). È il travaglio della vita terrena, che con tutte le sue sofferenze ci sfida ad andare comunque avanti, senza stancarci né scoraggiarci, fino a quando potremo riposare in Patria.

In tutto questo i Santi, che sono già approdati, non stanno a guardare: glorificati, e non disumanizzati, vivono l’empatia con i loro simili accentuata dalla carità perfetta, e fanno il tifo per noi, in attesa di averci come compagni.

Ogni segmento del visibile, dall’elettrone in su, è l’esito di infiniti processi interni e invisibili; questo vale tanto più per la storia nel suo insieme, guidata dalle correnti sommerse della Grazia anche (e specialmente) laddove la tenebra si acuisce, e queste correnti luminose hanno una voce corale che segue una sinfonia cosmica: la voce degli uomini e delle donne giunti al compimento, che non si dimenticano dei loro fratelli ancora immersi nel fango (l’oblio non è una caratteristica della vera beatitudine, perché l’amore non oblia), e intercedono per loro.

Mentre la guerra piaga un mondo già sfinito dalla malattia, oltre a cercare la pace tra noi dobbiamo cercare l’aiuto dei Santi, guardando alla loro comunione come unico esempio di umanità riconciliata perfettamente al di là di ogni razza, provenienza e storia: questo ci insegna ancora una volta che tale unione può compierla solo il riconoscersi amati da Dio e che, forse, solo in Cielo tale pace perfetta sarà possibile ai nostri cuori ostinati, che lì finalmente troveranno pace.

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