SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Il cammino di Santiago è tra i cammini più belli e conosciuti al mondo. Ogni anno migliaia di persone decidono di intraprendere questo percorso che è un cammino anche spirituale. Della nostra diocesi ha da poco concluso il cammino il Diacono Walter Gandolfi, con l’occasione lo abbiamo intervistato.
Walter come è nato il desiderio del pellegrinaggio sul cammino di Santiago?
Camminare mi è sempre piaciuto. Camminare da solo o in compagnia, in montagna o lungo il mare mi ha trasmesso sempre un senso di libertà, di serenità con la voglia di scoprire sempre cose nuove, luoghi inesplorati e fare qualcosa di piacevole. Camminare per star bene, per pensare, per riflettere, per meditare e perché no, anche per pregare. Camminare per incontrare persone e fermarsi a parlare, a raccontarsi o per fare un pezzo di strada insieme.
Il camminare come espressione della propria personalità, sempre protesa a raggiungere obiettivi e a realizzare i propri desideri. Proprio il desiderio di fare, un giorno, il Cammino di Santiago mi ha spinto a concretizzare questo sogno, non appena si è presentata l’occasione di avere del tempo a disposizione, libero dagli impegni di lavoro. Anche solo il pensiero che milioni di pellegrini, da ogni parte della terra, fin dal Medio Evo, hanno camminato e camminano ancora oggi, dai Pirenei fino alla tomba dell’apostolo Giacomo (il Maggiore), percorrendo circa 800 kilometri, spinti da motivazioni le più diverse, ha suscitato in me qualcosa di bello e di affascinante da poter realizzare. E così mi sono “buttato” in questa esperienza.
Che tipo di preparazione hai dovuto affrontare per effettuare il cammino e quanti km hai percorso in totale e ogni giorno?
Fare il Cammino di Santiago (o tutti gli 800 chilometri o i 330 partendo da Leon, come abbiamo fatto io e i miei due amici) non è uscire a fare una passeggiata. È impegnativo. Si cammina sempre in quota oltre i 500/600 metri s.l.m., su colline e montagne (monti Pirenei, monti di Leon e della Galizia) con continui saliscendi, fino a toccare quota 1.500 metri di altitudine per ben tre volte. Mettersi in cammino senza un’adeguata preparazione psico – fisica è azzardato e si può andare incontro a fastidiosi inconvenienti ai piedi (bolle e vesciche), alle caviglie (talloniti e tendiniti) e alla schiena, che possono rallentare il tuo passo, costringere a fare delle lunghe soste negli ostelli o addirittura a rinunciare al Cammino. Conviene allenarsi durante i mesi precedenti la partenza, percorrendo distanze sempre più ampie, meglio se con lo zaino e le calzature che si pensa di utilizzare sul cammino. Il problema non sono infatti le singole tappe 20-25 chilometri (come media giornaliera). Semmai la difficoltà è mettersi in marcia ogni santo giorno, con ogni tipo di tempo e, soprattutto, con uno zaino di 8-10 chili sulle spalle.
Che emozioni hai vissuto alla partenza?
Intraprendere il Cammino di cui si conoscono i percorsi, i tempi di percorrenza, i luoghi di ristoro e di riposo, scritti su guide specifiche oppure ascoltando testimonianze sui social da chi il cammino l’ha già fatto, può darti una certa tranquillità per quello che stai per affrontare. Ma, come spesso accade, quando sei tu stesso a dover affrontare quella specifica esperienza, i timori e le preoccupazioni perché tutto possa andare bene e che tu possa riuscire a portarla a termine, è naturale che ci siano.
D’altra parte, il forte desiderio di fare quel Cammino, il significato spirituale che ha quel percorso, il mistero che sta in quei pellegrini che finora l’hanno fatto, il richiamo dell’apostolo san Giacomo, colonna della Chiesa di Gerusalemme e stretto collaboratore di Gesù, e una buona preparazione fisica, mi hanno reso sereno, fiducioso ed entusiasta alla partenza.
Quali sono state le esperienze più belle del pellegrinaggio?
Tante esperienze belle. Come il camminare insieme ai due amici Giancarlo e Peppe, con i quali ho condiviso la preparazione e poi, tutto il cammino. Speciali sono stati gli incontri lungo il percorso con tante persone di ogni età e provenienti da ogni parte del mondo, con cui sorridendo ci si salutava con “Hola” e ci si scambiava l’augurio di “ Buen Camino”. Ci si ritrovava poi alla sera, nei vari Ostelli, a condividere la cena, a raccontare le fatiche e i momenti salienti della giornata. Tutto questo creava festa, superando anche la difficoltà nel comunicare, parlando lingue diverse. Tre momenti del Cammino, in particolare, sono stati speciali. L’arrivo a “La Cruz de Hierro”, situata a 1.530 metri di altezza sul monte Irago prima di Ponferrada; il punto più alto del Cammino. È un luogo simbolicamente importante: si tratta di un alto palo di legno in cima al quale è posta una semplice croce di ferro che, isolata lassù, sembra come voler congiungere la terra e il cielo. Alla base della croce si è formata una montagna di sassi, portati lì dai pellegrini. Anch’io ho portato il “mio” sasso, raccolto nel “mio” mare. Questo gesto diventa un simbolico deporre e liberarsi dei pesi dell’anima.
Altro momento “forte” provato lungo il Cammino è l’arrivo a “O Cebreiro”: un villaggio di poche case a 1.300 metri di altitudine, appena entrati in Galizia. È uno dei luoghi più carichi di spiritualità del Cammino. Dopo tanta fatica ci accoglie la chiesa preromanica di Santa Maria la Real, che conserva il càliz del milagro, legato al famoso miracolo eucaristico avvenuto all’inizio del XIV secolo. Si racconta che un contadino di un paesino vicino, durante una tormenta di neve, salì ed entrò in quella chiesa per la santa messa, provocando il riso del celebrante nel vedere tanta fatica per ricevere “solo” un po’ di pane e di vino. Ma, al momento della consacrazione, l’ostia che teneva in mano si convertì in carne e il vino in sangue nello stupore del sacerdote. Tutti e due ora sono sepolti qui, uno accanto all’altro. In questa chiesa c’è anche la tomba del parroco del Cebreiro, che nel 1984 ripercorse tutto il cammino compostellano segnandolo per la prima volta con le frecce di vernice gialla, che sono poi diventate il simbolo di questo tracciato. Molto suggestiva è stata la nostra partecipazione alla santa Messa, con tutti i Pellegrini arrivati quassù in quella giornata. Terminata la celebrazione, c’è stata, la “benedizione del Pellegrino” con il dono a ciascuno, da parte del sacerdote, di un sassolino con la freccia gialla e la recita della “preghiera del Pellegrino” da parte di ciascun rappresentante per ogni paese di provenienza.
Ma l’emozione più forte, l’ho vissuta all’arrivo nella piazza di fronte alla grande Basilica di San Giacomo, dopo aver percorso più di trecento chilometri a piedi e aver realizzato, così, il desiderio del Cammino di Santiago. Una giornata di gioia e di grande soddisfazione per il traguardo raggiunto, culminata nella partecipazione alla santa Messa in Cattedrale, stracolma di pellegrini, nella preghiera silenziosa e intensa inginocchiato davanti al sepolcro del santo apostolo Giacomo e nel rito spettacolare del “Butafumeiro”, un grande incensiere fumigante fatto dondolare lungo la navata, sopra la testa dei fedeli.
Ci sono stati dei momenti in cui hai pensato: “Smetto, torno a casa”?
No, mai. Il pensiero di affrontare il Cammino di Santiago, desiderato per tanti anni, era tanto forte quanto la determinazione e la volontà di arrivare fino alla meta. Le difficoltà dovute alla fatica, alla pioggia, ai pomeriggi assolati, alle partenze umide e nebbiose del mattino presto, al peso dello zaino, ai dolori ai piedi e alla schiena, alle file alle docce e ai bagni, agli indumenti sporchi di sudore da lavare e a tanti altri imprevisti sono stati affrontati e superati sempre con spirito di adattamento, di condivisione e di sostegno reciproco.
Cosa ha significato per te l’arrivo presso il santuario?
E finalmente l’arrivo al Santuario compostellano. L’ultima tappa è volata via con passo spedito e incurante della fatica, perché la meta oramai era vicina e stavo per arrivare dall’ apostolo san Giacomo, annunciatore del Vangelo in terra spagnola. Sono stati momenti di forti emozioni, insieme a tanta commozione. Mi sono inginocchiato, gioioso e affaticato, prima nella piazza e poi presso la tomba di San Giacomo, per ringraziarlo e per pregare. È stato come liberarmi di un “peso”, portato per parecchi giorni, e che ora non avvertivo più. Avevo la mente libera dalle preoccupazioni del Cammino e il cuore pieno di soddisfazione e di serenità. Non ho cercato risposte a tante domande sul perché ho fatto questo Cammino, ma più che risposte mi son trovato a farmi ulteriori domande, perché il Cammino di Santiago non finisce qui, ma continua per tutta la vita.
Si sono create amicizie lungo il pellegrinaggio, che cosa si condivide in quei momenti?
Come già detto sopra, uno degli aspetti più belli del pellegrinaggio sono proprio le amicizie che sorgono durante il Cammino. Capita di camminare insieme per parecchi giorni, fianco a fianco con persone di ogni età, sesso e nazionalità. Si dialoga anche senza conoscere le lingue straniere, basta un po’ di intuito e quella complicità che il Cammino ti trasmette, per riuscire a capirsi. Si parla e si canta durante il percorso ma soprattutto l’allegria esplode nei momenti conviviali della sera, tra racconti, risate e canzoni del proprio paese. Anche l’accoglienza dei vari “Hospitaleros” negli ostelli contribuisce a creare quel clima goliardico tra gli ospiti. In particolare, ricordo l’incontro con Christoff, un hospitaleros, con cui ho avuto modo di chiacchierare a lungo circa le motivazioni che spingono un pellegrino fino a Santiago. Abbiamo aperto le nostre anime raccontando le nostre esperienze di vita, diverse per formazione e per scelte fatte ma ugualmente profonde e molto simili nel condividere i valori umani. Ci siamo lasciati con il desiderio e il proposito di incontrarci, in futuro, su uno dei tanti cammini che portano a Santiago.
Ti stai preparando per il prossimo anno per tornare a Santiago?
Sì, perché non si può lasciare un lavoro a metà… Ora ho fatto la seconda parte del Cammino, che va da Leon fino a Santiago e il prossimo anno, se Dio vuole, partirò dall’inizio, da Saint Jean Pied de Port fino a raggiungere Leon, coprendo così in due anni tutto il percorso dei 790 chilometri.
Lo consigliereste a chi ci legge?
Certamente, a chi ha il desiderio di farlo e ha una buona condizione fisica ma soprattutto può avere la disponibilità di giorni liberi, è un’ esperienza che consiglio di fare almeno una volta nella vita.