DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del Monastero Santa Speranza di San Benedetto del Tronto
Chi sono i sadducei? Sono persone dell’alta società di Israele, colti, ricchi, aristocratici. Non credono alla resurrezione dei morti. E proprio su questo tema cercano di incastrare Gesù.
Leggiamo nel Vangelo che presentano al Signore il caso di una donna avuta in moglie da sette mariti, morti uno dopo l’altro. I sadducei chiedono: «La donna, dunque, alla resurrezione, di chi sarà moglie?». Forse domande simili ce le poniamo anche noi: quando, come risorgeremo? Saremo uguali ad ora? Il nostro corpo? Sarà lo stesso di ora? Saremo insieme ai nostri cari? Potremo incontrare tutti coloro che abbiamo conosciuto su questa terra?
La questione di fondo è che i sadducei, e anche noi oggi, immaginiamo la resurrezione come un evento futuro, riguardante il “dopo morte”, mentre Gesù ci invita a pensarla come una realtà che coinvolge la nostra vita ora, al di qua della morte.
La fede nella resurrezione, infatti, non è qualcosa su cui discutere a tavolino, la fede nella resurrezione si vive, come la vive la famiglia (una madre e sette figli) che ci presenta la prima lettura, tratta dal secondo libro dei Maccabei. Nulla di miracolistico, perché il racconto ci parla realisticamente di una donna e di sette giovani che stanno tutti, uno dopo l’altro, perdendo la vita, tramite tortura e uccisione, pur di non rinnegare la propria fede in Dio. Niente miracoli come intendiamo noi, ma una vita che profuma di resurrezione perché poggiata e vissuta su tante consapevolezze. Proviamo magari a leggerlo tutto questo settimo capitolo del libro, non solo i versetti che la liturgia ci presenta, leggere con attenzione le parole di ognuno dei protagonisti. Scopriremo uomini e donne consapevoli, cioè certi, di un Dio che cammina accanto a loro, un Dio a cui non chiedono di intervenire per punire chi li sta uccidendo ma un Dio che riconoscono misericordioso e dal quale invocano sostegno, consolazione, accoglienza dei loro limiti e povertà; uomini e donne consapevoli di un Dio che non li ha mai abbandonati e mai li abbandonerà, un Dio che li accompagnerà anche nell’attraversare il passaggio tra la vita e la morte; uomini e donne consapevoli, quindi, di una vita che non si ferma, non si autodistrugge nella morte ma ci passa attraverso. Uomini e donne che hanno scelto di vivere una vita da resuscitati, una vita sazia, come leggiamo nel Salmo, sazia della contemplazione e della compagnia di Dio.
Tutto questo ci pone una domanda: quanto siamo disposti a “perderci” ogni giorno per vivere di una vita nuova, eterna, per vivere della relazione con Dio? Dice infatti il Vangelo che costoro: «…infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della resurrezione, sono figli di Dio».
Apparentemente mutilati e uccisi, quei giovani e la loro madre son integri perché integra è la loro relazione con il Dio della vita. Apparentemente interi e vivi, quanto noi, invece, siamo integri e quanto è integra la nostra relazione con Dio? Riusciamo a perderci per una scelta più grande che è la scelta di vivere e continuamente risorgere nella relazione con Dio?
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