Giovanna Pasqualin Traversa
Secondo l’Istat, nel 2021 i poveri assoluti nel nostro Paese sono stati circa 5,6 milioni, di cui 1,4 milioni di bambini. Nel 2021 quasi 2.800 Centri di ascolto Caritas hanno effettuato oltre 1,5 milioni di interventi, per poco meno di 15 milioni di euro, con un aumento del 7,7% delle persone che hanno chiesto aiuto rispetto all’anno precedente. Anche nel 2022 i dati raccolti fino a oggi confermano questa tendenza. Alla vigilia della sesta Giornata mondiale dei poveri che ricorre domenica 13 novembre ne parliamo con la sociologa Nunzia De Capite, dell’ufficio Politiche sociali di Caritas italiana che lo scorso 17 ottobre ha presentato il suo 21° Rapporto su povertà ed esclusione sociale dal titolo “L’anello debole”.
Dal suo osservatorio, qual è e come cambia la fotografia dei poveri in Italia?
Elementi esterni come il Covid in questi ultimi due anni e mezzo e di recente la guerra in Ucraina e la crisi energetica con l’aumento dei prezzi esasperano situazioni pre -esistenti, ma la povertà non è esplosa con la pandemia. Si tratta di processi di lungo corso; oggi osserviamo l’effetto di un movimento che nel nostro Paese va avanti almeno da 15 anni. A partire dal 2008 – tranne una lieve flessione nel 2018 – si è verificato un progressivo peggioramento delle condizioni di vita di molte persone segnato da un aumento della povertà anche nelle regioni del Nord e tra i lavoratori, i cosiddetti working poor che sono oggi l’11/12% degli occupati.
Quali le cause?
Negli ultimi vent’anni abbiamo assistito al crollo di una serie di punti fermi nel mercato del lavoro: contratti a tempo indeterminato e/a tempo pieno che hanno lasciato posto a contratti a tempo determinato e/o part-time, mentre è venuta meno la continuità lavorativa.
Uno scenario di grande precarietà che ha trascinato nel baratro intere fasce di popolazione che prima riuscivano a tenersi in equilibrio sul crinale grazie a “salvagenti” ora scomparsi.
Eurostat afferma che il 25% degli italiani è a rischio di povertà ed esclusione sociale, uno su quattro. Che non vuol dire povertà assoluta, ma lo stadio immediatamente precedente di chi non ha la possibilità di far fronte a una spesa imprevista come una malattia o l’aumento delle bollette e vive in bilico con la sua famiglia rischiando da un momento all’altro di precipitare. Un processo molto più accelerato rispetto al passato e che senza interventi strutturali, in particolare sistemi di protezione della stabilità del mercato del lavoro, rischia di dilagare.
Oggi quali sono gli “anelli deboli”?
I nuovi poveri, quel circa 40% di persone nuove che si rivolgono ai nostri centri, ma anche quelli che non riescono ad uscire dalla povertà: un 25% di persone che da cinque anni si rivolgono stabilmente alla Caritas e non riescono ad emanciparsi. Persone seguite anche dai servizi sociali, che magari ricevono anche aiuti pubblici dai Comuni. Che cosa non ha funzionato e continua a non funzionare?
Ci sono anche i padri separati…
Un fenomeno emerso nel 2018 quando abbiamo registrato un picco di situazioni di papà socialmente inseriti che, a causa della rottura del legame familiare, si sono ritrovati da un momento all’altro non solo fuori di casa ma anche non più in grado di mantenere il posto del lavoro. A partire da allora molte Caritas hanno attivato servizi ad hoc: case di accoglienza e interventi ormai di routine.
Il reddito di cittadinanza, in vigore dal 2019, è stato finora percepito da 4,7 milioni di persone, ma raggiunge poco meno della metà dei poveri assoluti (44%), il che significa che un 56% degli aventi diritto ne resta escluso. Il nuovo governo ha annunciato una sua riforma. Quali correttivi sarebbero a suo avviso necessari per far sì che ne possano usufruire tutti coloro che ne hanno diritto?
Questa misura di contrasto alla povertà deve raggiungere prioritariamente i poveri assoluti; per questo occorre ridisegnarla.
Anzitutto abbassando il requisito della residenza in Italia dagli attuali 10 anni – di cui gli ultimi due in via continuativa – a 5 anni. Il 30% delle famiglie povere assolute sono di cittadinanza straniera e con il sistema attuale vengono di fatto escluse. Poi occorre intervenire sulle soglie riducendo l’importo di base per i singoli e modificando il meccanismo di calcolo per il numero dei componenti familiari. Il coefficiente piatto adottato oggi crea infatti un grave squilibrio tra i nuclei monofamiliari e quelli composti da quattro persone che prendono un contributo decisamente inferiore. Infine le attuali soglie uniche su tutto il territorio nazionale vanno differenziate per area geografica perché non tengono conto del costo della vita, superiore nelle regioni del Nord. E’ vero che i poveri assoluti sono più numerosi al Sud, però questi sono “coperti” al 90% contro il 30% dei poveri del Nord. Occorre trovare un meccanismo di compensazione.
Quali altre misure strutturali servirebbero per contrastare la povertà?
Occorre intervenire a monte regolando il meccanismo di funzionamento del mercato del lavoro. Sul lavoro povero servono interventi di fissazione dei minimi salariali. Nella passata legislatura una Commissione ministeriale ha presentato una proposta molto convincente che potrebbe risolvere il problema dei contratti pirata e sanare situazioni di irregolarità. Sono inoltre urgenti misure di conciliazione che permettano di aumentare l’occupazione femminile, altro nodo che crea povertà nei redditi familiari. Servono servizi efficienti e capillari per le madri lavoratrici ma anche un’azione culturale, ossia un cambiamento di mentalità e abitudini, soprattutto al Sud.Molte donne che non hanno mai lavorato fuori casa non sanno cercare lavoro, non sanno come porsi e soprattutto non sanno che cosa vogliono. Per questo vanno accompagnate con azioni di tutoraggio e counseling, soprattutto nelle aree del Paese in cui sembra ancora “strana” e “inopportuna” l’idea di portare il proprio bambino al nido per andare a lavorare.
E poi c’è chi è da anni lontano dal mercato del lavoro e non riesce a rientrarvi…
Proprio all’inserimento o re-inserimento lavorativo è mirato il programma Gol (Garanzia di occupabilità dei lavoratori) previsto dal Pnrr (missione 5, componente 1, ndr). Con risorse pari a 4,4 miliardi di euro dovrebbe coinvolgere entro il 2025 tre milioni di beneficiari – persone in difficoltà, con disabilità, donne, over 55, Neet – in percorsi di accompagnamento, aggiornamento o riqualificazione professionale, per favorirne l’ingresso o il ritorno nel mercato del lavoro. Un programma che noi seguiremo e che potrebbe aprire importanti spiragli.