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Sorelle Clarisse: Sei tu colui che deve venire?

DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del Monastero Santa Speranza di San Benedetto del Tronto

«Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?»: è la domanda che Giovanni Battista rivolge a Gesù. Sei tu il Messia che attendiamo? Sei tu il Salvatore che da tanto aspettiamo?
Pensiamoci bene: Giovanni, colui che Gesù stesso definisce “più che un profeta”, è toccato dal dubbio.
E come non poteva esserlo dato che, domenica scorsa – vi ricordate? -, lo abbiamo lasciato mentre annunciava il Messia con queste parole: «Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco…raccoglierà il frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con fuoco inestinguibile».
Oggi, invece, si sente rispondere da Gesù: guarda Giovanni, osserva, che cosa vedi? «I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo».
Giovanni minacciava la vendetta di Dio, il fuoco divorante. Gesù, invece, propone un perdono incondizionato, rimette le colpe, non minaccia né attua vendetta, dice che il fuoco lo vuole accendere, sì, ma a partire dall’amore, non certo dal terrore.
Dio ci spiazza sempre, è sempre radicalmente diverso da come ce lo immaginiamo. Anche chi, come Giovanni, vive la radicalità della fede, rischia di costruirsi un Dio a propria immagine e somiglianza.
E’ la fatica del credere. Un conto è la fede dei libri, un conto è la fede della vita, a confronto con le domande e gli interrogativi della vita. E la fede che si confronta con la vita non può non essere una fede in ricerca: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?».
Le nostre domande, i nostri dubbi non debbono perciò essere motivo di scandalo per noi…non lo sono di certo per Dio. La conversione non è smettere di peccare ma smettere di scandalizzarsi di Dio.
«Beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!», dice Gesù nel Vangelo. Non scandalizzarsi di un Dio che prende la scure per abbattere gli alberi ma la trasforma subito in una zappa per smuovere il terreno, concimarlo e fare in modo che arrivino i frutti; non scandalizzarsi di un Dio che, sì, è forte come il fuoco ma non brucia, bensì scalda, illumina, dà vita e speranza a chi è immerso nel buio della notte; non scandalizzarsi di un Dio che dà l’opportunità all’ultimo degli ultimi della terra di essere il più grande nel Regno dei cieli.
Un Dio che, canta il salmista, rende giustizia agli oppressi, dà il pane agli affamati, libera i prigionieri, ridona la vista ai ciechi, rialza chi è caduto, ama i giusti, protegge i forestieri, sostiene l’orfano e la vedova…un Dio che dà la possibilità a tutti, davvero a tutti, di tornare a dare frutti di vita e di vita buona.
E’ faticoso accettare un Dio così, perché accogliere il suo messaggio di misericordia richiede pazienza. E’ per questo che la lettera di Giacomo parla della costanza del contadino: «Guardate l’agricoltore: egli aspetta con costanza il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le prime e ultime piogge».
Questo, allora, ci chiede l’attesa del Natale: alzare lo sguardo e riconoscere i segni della presenza di Dio, fermarsi a riconoscerli. Perché ognuno di noi, e non possiamo negarlo, ha visto almeno una volta, nelle pieghe di questo nostro mondo inquieto, gesti di totale gratuità, vite consumate nel dono, frammenti di fraternità in mezzo a tanta solitudine ed egoismo, persone che non si arrendono alla disperazione e combattono per la giustizia, uomini e donne segnati dal dolore che hanno imparato a perdonare.
«Siate costanti anche voi, – ci chiede il Signore -, rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina».

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