Gianni Borsa
Parlamento europeo sotto attacco. Democrazia europea sotto attacco. Lo shock, lo sconcerto, accanto a rabbia e incredulità. Il Qatargate – ormai si chiama così persino nelle diciture ufficiali a Strasburgo – sconvolge l’Ue e la sua istituzione eletta a suffragio universale. Il Qatar (e ora pare anche il Marocco) vuole tutelare, oppure rifarsi, l’immagine, dopo esser stato scelto, a suon di pressioni e scandali, per ospitare i Campionati del mondo di calcio (in pieno svolgimento) e accusato di aver causato migliaia di morti nella costruzione degli stadi senza minimamente tutelare i lavoratori addetti. Il Paese necessita di imbellettarsi, come se un maquillage potesse cambiare la realtà. E allora cosa si fa? Ci si infila nella vita di qualche eurodeputato, peraltro non di particolare peso politico, per ottenere, dietro lauti compensi, interventi bonari in emiciclo, sui media europei o in qualche ambiente lobbista attento al quadro internazionale.
Basta però che un giudice rigoroso faccia il suo mestiere e, senza faticare poi tanto, le forze dell’ordine scovano sacchi di denaro fra pentolame e biancheria intima.
Così scoppia lo scandalo! Si fatica quasi a crederlo, eppure i fatti sono questi.
Stando comunque al dibattito svoltosi ieri a Strasburgo, alle voci di corridoio e a qualche interpretazione giornalistica, si tratterebbe solo di alcune “mele marce” che, per golosità, si sarebbero lasciate comprare a suon di banconote (“che in Qatar scorrono a fiumi”, suggerisce un eurodeputato, strizzando l’occhio).
E allora avanti con l’indignazione, la “lotta senza quartiere alla corruzione”, la richiesta di una “commissione etica” che vigili sull’onestà dei deputati europei e sulla trasparenza dell’istituzione. La “presunzione di innocenza” verso le persone a vario titolo coinvolte è già dimenticata: tutti colpevoli. Si denuncia – e giustamente – il danno di immagine all’istituzione nonché all’intero processo di integrazione comunitaria.
“Occorre ricostruire la fiducia dei cittadini nel Parlamento europeo”, respingendo “influssi indebiti delle lobby” sul lavoro degli europarlamentari, si afferma in aula.
In plenaria si fanno avanti le forze politiche sovraniste, quelle abituate a puntare il dito contro l’Unione europea per denunciarne il fallimento. Nel tritacarne finiscono in particolare i Socialdemocratici, gruppo cui appartengono gli indagati principali: la ormai ex vicepresidente greca Eva Kaili e l’ex deputato italiano Antonio Panzeri. Ma sul banco degli imputati finiscono anche Ong e sindacati, col rischio di fare di tutta un’erba un fascio.
Il deputato tedesco Martin Schirdewan afferma che “non si tratta di un problema di mele marce, ma di un problema strutturale”, aggiungendo, non senza insinuazioni e illazioni, “chissà quanti altri deputati sono pronti a vendersi”?
Stessa musica quella suonata dal collega Jordan Bardella, francese, il quale si dice sicuro che “altri hanno scheletri negli armadi”. Jordi Solé, spagnolo, sostiene di aver denunciato anni addietro i “rischi di ingerenze di Paesi terzi” nelle decisioni del Parlamento europeo. Nicola Procaccini, italiano, allarga il tiro: “il Qatar sta cercando di comprarsi il nostro stile di vita”. E giù con le accuse a un generico “mondo islamico”. Gilbert Collard, anch’egli francese, si dice sicuro che nell’Ue “esiste una quinta colonna della corruzione”. Insomma sono parecchie le voci che tendono a fare la morale al partito avverso o addirittura ad altri Stati, ergendosi a forza politica “limpida e pura” rispetto agli avversari “corruttibili” o “corrotti”, dimenticando con troppa facilità che nei rispettivi Paesi scandali e ruberìe ai danni dei cittadini non mancano affatto.
Ma non è tutto. C’è chi utilizza la triste vicenda per sostenere la tesi che “bisogna aumentare il controllo da parte dei Paesi membri sulle istituzioni Ue”, ribaltando, di fatto, la direzione di una integrazione europea “comunitarizzata”, e non dipendente dagli interessi e dagli umori dei governi degli Stati aderenti.
Se ciò avvenisse si tradurrebbe in un bavaglio a Parlamento e Commissione, lasciando campo libero a un confederalismo vecchio stampo.
Questi i fatti, tuttavia sorgono alcuni interrogativi.
Il primo, tanto evidente quanto banale. Come mai, oggi, tanta sicurezza e forza, nel parlare di pericolo-corruzione? Le lobby accreditate al Parlamento e presso le altre istituzioni europee nell’occhio del ciclone esistono da tempo, generando un continuo via vai nei corridoi e negli uffici, oggi perquisiti o sequestrati dalla magistratura. Adesso se ne denuncia la pervasività, persino le pressioni per orientare questa o quella politica Ue, per influenzare questo o quel dossier parlamentare. Come mai i dubbi su tali presenze emergono solo in questo frangente?
Altro argomento: stando ai fatti, da questa vicenda sembra che il Qatar e le sue istituzioni politiche si siano esposte in maniera quasi dilettantistica, rispetto a un obiettivo peraltro ancora tutto da chiarire. E allora qualche interrogativo sorge spontaneo. Qualcuno potrebbe aver agito in nome o per conto del Qatar? E se fosse, solo il Qatar ha interessi (illeciti) da “sponsorizzare” presso le sedi Ue?
Domande – ma ce ne sarebbero altre, cui il prosieguo delle indagini potrà rispondere – che si accavallano, mentre la magistratura continua a fare il suo dovere. Allo stato dell’arte c’è da aspettarsi di tutto e non si può escludere che qualche altro eurodeputato o commissario europeo decida di vuotare il sacco. Chi sa, non può e non deve tacere. C’è di mezzo la credibilità del Parlamento europeo, dell’Unione europea, della democrazia nel suo complesso, della politica nella sua essenza.