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Mons. Baturi (Cei): “La Chiesa italiana è vicina all’Ucraina, dialogo con il Governo su rispetto della vita e lotta alle povertà”

(Foto AFP/SIR)

“Non dobbiamo disperare della pace, ma fare continuamente appello all’umanità che sta in ogni uomo. Non ci possiamo rassegnare al comportamento inumano che produce solo sofferenza e morte”. Parte da un appello per la pace in Ucraina l’arcivescovo di Cagliari e segretario generale della Cei, mons. Giuseppe Baturi, che in un’intervista in occasione del Natale affronta i temi più caldi del momento.

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

Eccellenza, è il primo Natale con la guerra in casa. Perché l’Europa è la nostra casa comune e una guerra nel cuore del continente riguarda tutti noi. La Chiesa in Italia, fin dall’inizio, si sta spendendo con iniziative di solidarietà e di preghiera, come la Veglia che si è tenuta a Bari il 21 dicembre. Come sta vivendo questo tempo?
Con grande sgomento. Mi chiedo continuamente: come è possibile che nel 2022 si combatta ancora una guerra? Con mezzi atroci, contro donne e bambini, con la tortura e il terrore. Nel cuore dell’uomo c’è la radice di tutti gli squilibri che governano le divisioni del mondo. La guerra è possibile solo quando si assolutizza il proprio io contrapposto all’altro. La Chiesa che è in Italia è vicina all’Ucraina: a livello materiale, cercando di dare risposte concrete ai bisogni che via via emergono.

Non dobbiamo stancarci però di essere profetici, condannando la violenza, invocando la pace e chiamando le cose con il loro nome.

Non bisogna mai cedere, infatti, alla menzogna e all’occultamento della verità. Siamo totalmente solidali con il Papa, che chiede la pace nella giustizia. E poi non ci stanchiamo mai di pregare. Le preghiere per la pace animano le liturgie delle nostre comunità. Infine, è importantissimo poter raccogliere le migliori forze della cultura dell’uomo come strumento di riflessione e di unità contro la guerra.

C’è il rischio che ci si possa abituare alla guerra? Come si potrà arrivare alla fine dell’aggressione e a una giusta pace? Non è facile che un popolo invaso sia disposto a trattare…
Il dialogo presuppone il riconoscimento della dignità dell’altro e credere, anche contro l’evidenza, che sia possibile qualcosa di buono e di nuovo.

Il dialogo scommette tutto sull’imprevisto: del senso di umanità, di una ragionevolezza finora mancata.

Il Magistero della Chiesa ha sempre indicato i grandi pilastri della pace: giustizia, libertà, amore e perdono. Non dobbiamo disperare della pace, ma fare continuamente appello all’umanità che sta in ogni uomo. Non ci possiamo rassegnare al comportamento inumano che produce solo sofferenza e morte.

Le ripercussioni della guerra sono anche di natura economica. Dopo la pandemia, con cui ancora ci troviamo a fare i conti, la crisi economica sta colpendo anche l’Italia. L’aumento generalizzato di quasi tutte le materie prime e dei costi energetici si sta ripercuotendo nelle tasche di migliaia di persone che faticano ad arrivare alla fine del mese…
Siamo di fronte a un’ondata di crisi, che ormai rappresenta una possibilità della vita. La crisi, che fa male e impone sacrifici, potrebbe essere un’occasione per mettere in discussione il modello di sviluppo. Le crisi che abbiamo visto finora hanno accentuato le divisioni e le disuguaglianze di accesso ai beni e alle opportunità. Tutte le azioni di superamento delle crisi non possono tendere al ripristino del mondo di prima. Per questo il Papa non si stanca di raccomandare la solidarietà, la sussidiarietà e la partecipazione alle decisioni politiche da parte delle comunità.

L’ultimo Rapporto della Caritas ha introdotto il concetto di “povertà intergenerazionale”: la povertà si eredita, chi nasce in una famiglia povera ha bisogno di 5 generazioni per salire la scala sociale. Come valuta l’operato del nuovo Governo in materia di politiche sociali e di iniziative per fronteggiare la crisi economica, a due mesi dal suo insediamento?
Ci auguriamo di poter dialogare a tutto campo con il Governo e le istituzioni della Repubblica. La nostra linea è chiara: rispetto della vita e lotta alle povertà.

Siamo ancora ai primi passi di questo Governo, la priorità della Chiesa in Italia è l’azione di sviluppo che contrasti le povertà materiali ed educative e dia massima attenzione ai giovani.

Mezzo milione di persone, grazie a circa 50.000 gruppi sinodali, ha partecipato al primo anno del Cammino sinodale e ciascuna diocesi ha trasmesso alla Segreteria generale della Cei una sintesi di questa prima fase. Cosa è emerso? A che punto siamo e cosa si attende da questo Cammino?
La Chiesa sta riacquisendo consapevolezza di essere prima di tutto una casa in cui ci si può incontrare. Mi auguro che ci sia una lettura credente del momento storico: ci sono problemi interni ed esterni, la necessità di ripensare in termini missionari le parrocchie. Tutto ciò non sia motivo di contrapposizione, ma di dialogo comune.

L’ascolto diventi discernimento e individuazione di strade di cambiamento. La partecipazione così numerosa chiede un’urgenza di cambiamento. E la direzione, come dice il Papa, deve partire dal basso.

È necessario che la Chiesa diventi una casa accogliente per tutti. E che si metta in atto un nuovo annuncio del Vangelo.

La Chiesa in Italia ha intrapreso da tempo anche un percorso di chiarezza in merito al tema degli abusi. È stato presentato il primo monitoraggio e annunciata una indagine con il Dicastero per la Dottrina della Fede. È un messaggio di apertura e di responsabilizzazione?
È un messaggio di consapevolezza di una emergenza che ci addolora. Deve diventare per noi motivo di profonda conversione, che abbia a che fare con la verità delle indagini e con la giustizia riparativa. Siamo prossimi a tutte le persone ferite. La loro sofferenza è la nostra sofferenza. Per questo, non possiamo tollerare ogni forma di abuso.

Dobbiamo fare della Chiesa un ambiente sicuro, capace di promuovere la prevenzione in tutta la società italiana.

La nostra azione – è un auspicio – può sollecitare altre istituzioni. È un cammino impegnativo, ma necessario. Puntiamo sulla formazione, abbiamo raggiunto oltre 20mila persone nei due anni di pandemia. Continueremo con più ardore e coinvolgeremo le istituzioni locali. Dobbiamo continuare questo cammino, che è segno di fedeltà al Vangelo e di amore alle persone. Non è più tollerabile convivere con questi orrori.

Da pastore, cosa desidera per questo Natale?
I Magi erano persone inquiete che cercavano la verità. Visto un segno di luce nella notte, si sono messi in cammino. E quante notti attraversiamo anche noi… Mi auguro che ci rimettiamo in moto: per cercare una vita migliore, per avere più inquietudine e meno appagamento. I Magi, seguendo quel segno, sono arrivati al bambino appena nato. Lì dobbiamo iniziare il viaggio di comprensione che il Dio grande si fa bambino, che la Gloria splende nella debolezza. Che però merita la nostra adorazione. Dobbiamo rimetterci in moto e valorizzare le luci che brillano nelle nostre notti.

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