Paolo Morocutti
In un discorso molto significativo in occasione del seminario di studio su “la procreazione responsabile”, Giovanni Paolo II ha affermato che gli sposi che fanno contraccezione “si attribuiscono un potere che appartiene solo a Dio: il potere di decidere in ultima istanza la venuta all’esistenza di una persona umana. Si attribuiscono la qualifica di essere non i co-operatori del potere creativo di Dio, ma i depositari ultimi della sorgente della vita umana. In questa prospettiva la contraccezione è da giudicare oggettivamente così profondamente illecita da non potere mai, per nessuna ragione, essere giustificata. Pensare o dire il contrario, “equivale a ritenere che nella vita umana si possano dare situazioni nelle quali sia lecito non riconoscere Dio come Dio” (Giovanni Paolo II, 17.9.1983). La possibilità di procreare una nuova vita umana è inclusa nell’integrale donazione dei coniugi. Se, infatti, ogni forma d’amore tende a diffondere la pienezza di cui vive, l’amore coniugale ha un modo proprio di comunicarsi: generare dei figli.
Così esso non solo assomiglia, ma partecipa all’amore di Dio, che vuole comunicarsi chiamando alla vita le persone umane. Escludere questa dimensione comunicativa mediante un’azione che miri ad impedire la procreazione significa negare la verità intima dell’amore sponsale, con cui si comunica il dono divino. Tuttavia, nel cammino di alcune coppie, possono verificarsi delle circostanze gravi che rendono prudente distanziare le nascite dei figli o addirittura sospenderle.
La Chiesa invita a questo proposito a ricorrere ai metodi naturali, la conoscenza dei ritmi naturali di fertilità della donna diventa importante per la vita dei coniugi.
I metodi di osservazione, che permettono alla coppia di determinare i periodi di fertilità, le consentono di amministrare quanto il creatore ha sapientemente iscritto nella natura umana, senza turbare l’integro significato della donazione sessuale. In questo modo i coniugi, rispettando la piena verità del loro amore, potranno modularne l’espressione in conformità a questi ritmi, senza togliere nulla alla totalità del dono di sé che l’unione nella carne esprime. Ovviamente ciò richiede una maturità nell’amore, che non è immediata, ma comporta un dialogo e un ascolto reciproco e un singolare dominio dell’impulso sessuale in un cammino di crescita nella virtù. Occorre tuttavia evidenziare che il ricorso alla contraccezione, pur restando una forma di disordine, ha risonanze morali diverse se si configura come uno strumento tecnicamente efficace per fare sesso “sicuro” in un contesto di promiscuità e libertinaggio o se si configura come un tempo o una fase, magari sofferta, dell’itinerario cristiano di una coppia che si sforza di vivere con impegno la sua vocazione all’amore e di crescere in essa (cfr. Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio, n. 34; Pont. Cons. Famiglia, Vademecum per i Confessori, n. 9). Sarebbe, insomma, inopportuno e non conforme all’insegnamento della Chiesa, mettere sullo stesso piano la vita sessuale di una coppia sposata, pur con tutte le sue debolezze e limiti, e quella di uomini e donne mossi soltanto dall’egoismo e noncuranti dei valori altissimi di cui la sessualità umana è portatrice.
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