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Anteprima Sky “Call My Agent – Italia” e ritorno in sala per “Everything Everywhere All at Once” del duo Daniels

(Foto Ciro Meggiolaro)

Sergio Perugini

Quando l’azzardo porta a sguardi di senso. È il caso di due proposte in evidenza tra cinema e tv. Anzitutto la serie “Call My Agent – Italia” diretta da Luca Ribuoli e scritta da Lisa Nur Sultan, targata Palomar e Sky Studios, adattamento del cult francese “Dix pour cent”. Il progetto poteva sembrare sulle prime rischioso, alla luce anche del diffuso successo della serie originale, è stato invece condotto con coraggio e arguzia risultando del tutto riuscito. Ancora, il film “Everything Everywhere All at Once” firmato dal duo Daniels, che si gioca tra commedia e dramma sulle rotte del fantastico lungo la traiettoria tracciata da “Matrix”. L’opera torna nuovamente in sala con I Wonder Pictures dopo aver incassato riconoscimenti tra Golden Globe e Critics’ Choice Awards, contando anche sulla probabile candidatura agli Oscar (martedì 24 gennaio). Un film visionario, che si spinge sino ai confini dell’assurdo, che schiude però un’intensa metafora sui rapporti umani, sul legame madre-figlia. Punto Cnvf-Sir.

“Call My Agent – Italia” (20.01, su Sky e Now)

“Dix pour cent”, meglio nota con il titolo “Chiami il mio agente!”, è una serie francese nata nel 2015 dalla penna di Fanny Herrero e giunta alla quarta stagione, con una quinta in lavorazione. In poco tempo “Dix pour cent” è diventata un cult per spettatori e addetti ai lavori: ha trovato la formula perfetta per raccontare il dietro le quinte del mondo del cinema e dello spettacolo, con uno sguardo disincantato, a tratti simpaticamente spietato, su attori e registi secondo la prospettiva dei loro agenti e addetti stampa. Via, dunque, quell’alone di fascino e mistero che ha reso iconiche personalità del set, quel divismo (quasi) inarrivabile secondo i canoni hollywoodiani. In “Dix pour cent” lo storytelling delle star è reso quotidiano, prossimo, per lo più tragicomico. In Francia i più noti interpreti si sono prestati generosamente a tale (auto)critica: Cécile de France, Nathalie Baye, Fabrice Luchini, Isabelle Adjani, Juliette Binoche, Jean Dujardin, Monica Bellucci, Isabelle Huppert, Sigourney Weaver e Jean Reno.
I produttori Palomar e Sky hanno deciso di mettersi in gioco con un adattamento italiano: “Call My Agent – Italia”. Un’operazione ambiziosa, non facile, soprattutto nella scelta del cast e delle guest star, ossia nomi capaci di innescare quel cortocircuito di ironia irrefrenabile che è nel Dna della versione francese. Alla regia è stato chiamato Luca Ribuoli (“Noi”, “Speravo de morì prima”, “La mafia uccide solo d’estate”), mentre a firmare la sceneggiatura è Lisa Nur Sultan (“Grazie ragazzi”, “Studio Battaglia”).

La storia. Roma, oggi. La CMA è la più influente agenzia dello spettacolo con sede a piazza del Popolo. È un crocevia di celebrità, di vincitori di Premi Oscar e David di Donatello. A lavorare alla CMA sono quattro agenti: la veterana Elvira (Marzia Ubaldi), l’ambizioso e spregiudicato Vittorio (Michele Di Mauro), la spavalda e geniale Lea (Sara Drago) e l’empatico Gabriele (Maurizio Lastrico). Loro si spartiscono i divi più richiesti, chiudono i contratti più esclusivi. L’equilibrio salta quando il fondatore della CMA annuncia le dimissioni e la vendita delle quote dell’agenzia. Inizia così una giostra professionale e personale scoppiettante…
Va detto chiaramente: la serie “Call My Agent – Italia” funziona, è un adattamento riuscito! È da lodare in primis il tandem di regia e scrittura, l’intesa tra Ribuoli e la Sultan, che mettono in piedi una macchina narrativa che si muove agile, sicura, ben amalgamata tra situazioni e dialoghi puntuali, efficaci. Si ride, e molto. Merito è anche del cast indovinato, chiamato a dare volto agli agenti e ai loro affannati assistenti.
A dare poi un twist di brio alla narrazione tutta, a renderla speciale, sono le guest star dei sei episodi, divi che hanno accettato di mettersi in gioco in una commedia che costeggia il ridicolo, lasciandosi ritrarre tra fragilità, manie ed eccessi creativi: si parte con Paola Cortellesi (chiamata a contendersi il ruolo di una regina romana che parli il proto-etrusco. Meravigliosa!) e Paolo Sorrentino (alle prese con il terzo atto della serie su papi: dopo “The Young Pope” e “The New Pope”, “Lady Pope”. Geniale ed esilarante!), seguono Pierfrancesco Favino e Anna Ferzetti, Matilda De Angelis, Stefano Accorsi e Corrado Guzzanti. Da non trascurare, poi, le incursioni della brava Emanuela Fanelli che interpreta Luana Pericoli (“nomen omen”, come indicato in conferenza stampa) una star sgomitante a tratti fuori controllo.
“Call My Agent – Italia” è un dosato mix di battute indovinate, gustose citazioni cinematografiche e televisive, volti noti che si prestano al gioco in maniera divertita, come pure sguardi sulla Capitale eleganti e suggestivi, che ne regalano tutta la magia di “città del cinema”. Infine, si segnalano le clip finali sui titoli di coda di ogni puntata (occhio a non perderle!), inserti giocati sul filo dello sberleffo. A giudicare dalla partenza, “Call My Agent – Italia” è di certo una serie convincente. Consigliabile, brillante, per dibattiti.

“Everything Everywhere All at Once” (02.02, al cinema)

“Un film sulla compassione nel caos”. Lo definiscono così i registi Daniel Kwan e Daniel Scheinert, noti come il duo Daniels, parlando di “Everything Everywhere All at Once”, titolo che si è imposto con sorpresa nell’autunno 2022 e ora in corsa per principali riconoscimenti della stagione. Ha già vinto due Golden Globe: quello per la miglior attrice Michelle Yeoh (iconica interprete del film “La tigre e il dragone”) e per l’attore non protagonista Jonathan Ke Quan (toccante il suo ringraziamento, ricordando l’esordio folgorante da bambino sul set di Steven Spielberg con “Indiana Jones e il tempio maledetto” del 1984, seguito subito dopo da “I Goonies” del 1985, rimasto poi fermo per decenni).
“Everything Everywhere All at Once” del duo Daniels è un film singolare e affascinante, probabilmente debitore dell’universo creativo di “Matrix”, di quel mix di fantastico, futuristico e filosofico, come pure del cinema dei fratelli Anthony e Joe Russo (i registi degli “Avengers”, qui in veste di produttori). Un’opera che usa l’elemento della follia e del Multiverso per raccontare una storia minuta, basilare: il recupero del dialogo in una famiglia finita nelle secche della sedentarietà. Come sottolineano sempre i registi: “È un film su una madre che impara ad ascoltare la propria famiglia nel bel mezzo del caos più totale”.
La storia. Stati Uniti oggi, Evelyn (Michelle Yeoh) e il marito Waymond (Jonathan Ke Quan), di origini cinesi ma da tempo nel Paese a stelle e strisce, gestiscono una tipica lavanderia a gettoni. Gli affari non vanno poi così bene e temono l’appuntamento del controllo delle tasse, con l’intransigente ispettrice Deirdre (Jamie Lee Curtis, magnifica!). A complicare le cose sono le turbolenze in casa: Evelyn è sotto pressione per la non facile gestione del padre anziano Gong Gong (James Hong), per la scoperta che il marito intende chiederle il divorzio e perché i rapporti con la figlia ventenne Joy (Stephanie Hsu) sono ai ferri corti, non riuscendo ad accettarne l’omosessualità. Durante la riunione con il fisco, Evelyn viene catapultata in una girandola di universi paralleli…
Si rimane spiazzati, lietamente spiazzati, da “Everything Everywhere All at Once”. Si tratta di un film visionario, ilare e contorto, che mostra tutta la sua bellezza nell’approdo finale. È un viaggio vorticoso nella mente della protagonista Evelyn e dei suoi cari, un viaggio che si accosta al Multiverso di casa Marvel (“Doctor Strange” in testa) ma anche alla menzionata tetralogia “Matrix”. Il film è un fuoco d’artificio di suggestioni artistiche, filosofiche e cinematografiche, che i Daniels governano con talento ed evidente divertimento. Gli interpreti, tutti ottimi, stanno al gioco e danno spessore alle emozioni in campo. Splendida soprattutto la performance di Michelle Yeoh, capace di mantenere elevata l’intensità drammatica in un caleidoscopio di passaggi illogici e ammalianti. Al di là dell’eccesso narrativo, che talvolta incontra anche il grottesco, il film regala una profonda e originale lettura del bisogno di rimettere al centro il dialogo nei nostri rapporti, nel tessuto familiare. Basta la sola battuta pronunciata da Evelyn, “Diamoci una possibilità”, a imprimere realismo e poesia in un film che veleggia nel fantastico. Un’opera che affascina e conquista. Complesso, problematico, per dibattiti.

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