GROTTAMMARE – “Il vivaismo di Grottammare nel Distretto Piceno” è il titolo del libro scritto da Germano Vitelli e a cura dell’Associazione Vivaisti di Grottammare
Cosa ha significato per lei, grottammarese, realizzare questa pubblicazione incentrata su uno dei settori principali dell’economia cittadina?
Si potrebbe dire “un atto dovuto”, data la mancanza di una pubblicazione che raccontasse come e perché Grottammare e i Comuni del “Distretto Picenum” si trovino attualmente ad essere tra le realtà vivaistiche principali a livello nazionale. Apprendere e far conoscere da dove i nostri vivaisti abbiano assorbito le loro abilità e da quanto tempo sia presente nella nostra realtà territoriale questa attività, è stata per me una grande soddisfazione, che mi ha permesso di ricongiungere le fila tra gli antecedenti dimenticati di questo longevo mestiere, la sua evoluzione nel corso del tempo fino a giungere a quella che oggi è diventata a tutti gli effetti una professione altamente specializzata e, come giustamente fa notare, uno dei settori principali dell’economia cittadina.
Un volume in cui lei analizza il vivaismo nel Piceno. Quanto è stato importante il lavoro di ricerca e come si è articolato?
Trattandosi di una pubblicazione che, come è riportato nel titolo, ha una connotazione di tipo storico, il lavoro di ricerca è stato fondamentale, in particolare presso i nostri fornitissimi archivi, dove vengono custoditi e attendono di essere consultati fondamentali documenti anche molto antichi di varia natura, fonte primaria di notizie inedite attraverso le quali poter ricostruire, in maniera documentata per l’appunto, le vicende di una determinata realtà, in particolare di quelle di cui non si dispone di notizie e di studi precedenti pubblicati, come nel nostro caso. Questo lavoro in parte è stato facilitato da una preliminare ricerca interdisciplinare sull’agrumicoltura locale, attestata nei territori rivieraschi dell’antico Stato di Fermo almeno dal 1371, ma certamente precedente di alcuni secoli, dalla quale sono maturate nel tempo le conoscenze agronomiche che hanno posto le basi al vivaismo moderno, come con la sua perspicacia aveva asserito l’amico etnobotanico Aurelio Manzi. Infatti, i bellissimi “Giardini di agrumi”, oltre che essere appezzamenti cinti da mura dove un tempo si producevano i pregiati e ben remunerati agrumi, erano a tutti gli effetti anche dei vivai, essendo le piantine prodotte autonomamente da seme, poi innestate, potate e curate in tutti gli aspetti necessari alla loro crescita e fruttificazione. In questi “verzieri” inoltre, si crescevano anche quelle piante non solo da frutto, necessarie ad una completa agricoltura “autarchica” quale era quella mezzadrile dei secoli passati, come ulivi, viti, querce, gelsi, mandorli, ecc. Ho poi integrato queste testimonianze con resoconti relativi all’andamento dell’agricoltura provinciale che annualmente venivano inviati al Ministero; con le notizie di illustri botanici che registravano lo stato della nostra agricoltura. Per il periodo più recente mi sono avvalso delle carte dell’archivio comunale di Grottammare, di statistiche specifiche sul vivaismo e di una tesi di perfezionamento inerente il vivaismo ornamentale provinciale dell’agronomo Alfredo Piunti; ancora, ho potuto consultare i registri privati che due aziende storiche Marconi di Grottammare hanno gentilmente messo a disposizione, ho usufruito dei dati forniti dall’Associazione vivaisti e infine, per documentare le iniziative contemporanee, mi sono avvalso della “cronaca” dei quotidiani locali.
Una pubblicazione fortemente voluta dall’associazione Vivaisti di Grottammare, che raggruppa circa 50 aziende del territorio. Cosa rappresenta questa pubblicazione per l’attività vivaistica locale?
Certamente una riscoperta delle proprie radici. E la presa di coscienza di una identità con un passato solido e meritevole che ha saputo aprirsi un’ampia breccia nell’insidioso mercato globale, se non cede alla seduzione della disaggregazione o della soverchia delle singole etichette, anzi sa aprirsi a nuove adesioni, non può che migliorare il proprio operato. Saper fare squadra con obiettivi comuni è un punto di forza, specialmente in un settore facilmente mutevole come quello vivaistico, soggetto oltretutto a rovinosi imprevisti di natura fitosanitaria, ad esempio il Punteruolo rosso delle palme, o di origine meteorologica, come le devastanti gelate del 1929 e del 1956 che contribuirono fortemente all’abbandono dell’agrumicoltura locale. L’Associazione Vivaisti di Grottammare sta cercando di uscire dall’anonimato pluridecennale di questo dipartimento produttivo specializzatosi nelle piante mediterranee da giardino, compreso tra la vallata dell’Aso e quella del Tronto, che ha portato fino ad ora i nostri vivaisti ad essere ignoti fornitori di più illustri distretti. La pubblicazione si inserisce su questa scia, nel contesto sinergico di Enti e Istituzioni locali e regionali finalizzato a fornire una delle diverse carte di identità necessarie per farsi conoscere e dunque riconoscere.
In queste pagine, grazie al suo minuzioso lavoro di recupero e ricerca del materiale documentario emerge anche l’evoluzione di questa particolare attività nel settore.
Come accennato, l’esperienza del trattare le piante si era sedimentata nei secoli attraverso l’attività dei cosiddetti “ciardiníre”. Dalla metà del XIX secolo, quando l’agrumicoltura era ancora fiorente, si assiste a una specializzazione del settore vivaistico verso la produzione di piante da giardino, portata avanti non a caso dagli esperti agrumicoltori, quali erano ad esempio i pionieri di questa attività identificabili con le famiglie del casato Marconi, ancora oggi vivaisti di spicco, il cui nucleo produttivo storico si appaiava ad un secondo lungo la vallata del Tesino, un tempo proprietà della Mensa Arcivescovile di Fermo. Da questo momento, si inizia a incentivare la produzione di fiori da recidere ed essenze “verdi” per confezionare addobbi e ghirlande, insieme a un assortimento specializzato di piante arboree, arbustive, erbacee, perfezionando, accanto a quella consolidata dell’alloro, la produzione di pitosfori, ligustri, oleandri, pini, lecci, palmizie, ecc. Nel 1877 a Grottammare vi erano “importanti vivai” di piante da seme di arancio amaro che una volta innestate venivano vendute in “considerevole quantità” ad acquirenti del meridione, così come “almi vivaj” di peri, meli e frutta in genere, di olivi, di oppi, di piante da ornamento e da siepe. Un impulso significativo si ebbe con la ricostruzione post bellica e con le richieste delle Ferrovie dello Stato, ma lo slancio decisivo fu dato dal “boom economico” degli anni ’60 e ’70, quando accanto al verde dell’edilizia pubblica e privata vi furono importanti commesse nazionali di Enti quali Autostrade e ANAS. La ditta Antonio Marconi e Figlio, in occasione dei Giochi Olimpici di Roma del 1960, fornisce al Foro Italico alcune decine di migliaia di piante, mentre dalla fine degli anni ’70 inizia le prime esportazioni in Francia, a cui si aggiungono anche per altre ditte, la Germania e a seguire nuovi mercati europei ed extra- europei. Lo spartiacque con il vivaismo contemporaneo fu dato dalla storica ondata di gelo dell’inverno 1985 che investì soprattutto il versante tirrenico con ingenti danni alla produzione vivaistica, risparmiando parzialmente il nostro versante: i grandi grossisti di Pistoia, carenti di piante anche negli anni successivi, si riversarono sulle nostre aziende storiche che sollecitarono diversi coltivatori locali a convertire parte dei terreni a vivaio, incentivando la costituzione di piccole aziende, divenute stabili nel tempo e specializzatesi soprattutto nella produzione di giovani piante in vaso. Al 2020 la Provincia di Fermo contava più di 70 aziende, mentre quella di Ascoli Piceno più di 140, di cui la metà a Grottammare.
Alcune pagine di questo volume sono dedicate all’Alloro di Grottammare, che lei descrive come “pianta leader dei vivai grottammaresi e piceni”. Qual è il ruolo di questo tipo di arbusto nel distretto Piceno?
Anche per questa elegante pianta sempreverde si assiste ad una evoluzione nel contesto del vivaismo. Se nei secoli precedenti la sua importanza era strettamente legata alla fondamentale mansione ripariale dei giardini di agrumi dai gelidi venti invernali, per quasi tutto il XIX secolo trovò un impiego redditizio nell’industria locale estrattiva dell’olio laurino. Dall’uso costante nelle siepi ornamentali da giardino, i vivaisti sono riusciti a ritagliare un ulteriore percorso commerciale come essenza aromatica per la cucina: venduta nella forma di piantina in vaso, l’alloro trova uno sbocco molto remunerativo soprattutto nei mercati del nord-est europeo. Si pensi che attualmente, sul totale della nostra produzione vivaistica, il 60% è costituito dal lauro, equivalente al 75% della lavorazione nazionale: Grottammare copre il 50% della produzione distrettuale. Non a caso l’Associazione vivaisti in primis, si è adoperata perché venisse identificato un “Marchio d’area” specifico per l’ “Alloro di Grottammare”, ammesso dal Ministero dello Sviluppo economico nel 2019, seguito dalla candidatura al riconoscimento europeo dei marchi Igp e Dop.
Una parte del volume è dedicata alla gastronomia e medicina popolare. Ci descriva alcune di queste peculiarità.
Sacro ad Asclepio, divinità greca della medicina, il lauro ha proprietà disinfettanti e caratteristiche aromatiche e officinali che la cucina tradizionale in genere ha localmente elaborato in pietanze, preparati e distillati utilizzando le foglie di questo arbusto, prediligendolo negli arrosti di selvaggina e pesci. Nella dieta contadina, ad esempio, non mancava il gustoso brodo di Ceci con foglie di alloro che una volta cotto con spicchi di aglio e olio di oliva veniva versato su pezzetti di pane raffermo; ancora, quando si sezionava il maiale, si preparavano i saporiti fegatini alla brace disposti in foglie di alloro e avvolti nel “velo” addominale. Sorseggiare un bollente “Canarino” facilitava la digestione, essendo questa un’efficace e profumata tisana di bucce di limone e foglie di lauro dal caratteristico colore. Altri infusi o estratti di foglie e bacche venivano utilizzati in campo veterinario, cosmetico e medico, mentre nella medicina popolare locale lo si impiegava nelle affezioni gastriche e reumatiche o per la preparazione di bagni aromatici.