SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Quando la vita sale di numero, rituffarsi indietro c’è il rischio di precipitare, tuttavia negli anni in cui l’incedere dovrebbe essere pacato e misurato, l’unica ebbrezza di rischio la si prova nel tornare voluttuosamente a quegli anni e a quei fatti che ora sono diventati storia. Chi parla più di scuola serale per adulti? Siamo negli anni cinquanta-sessanta e mi ritrovo nelle aule della scuola elementare del Paese Alto ad insegnare il leggere, lo scrivere e il far di conto, sullo stesso banco, a babbi e figli, funai, che dopo una giornata faticosa, in quell’andirivieni tra canapa e spago, tentavano di rimediare al vuoto culturale che la miseria non aveva permesso di colmare. Spesso i padri si addormentavano e i figli a strattonarli..
Che esperienza da povero insegnante, buttato lì ad acquistare punti per una graduatoria. E fu lì che incontrai il Direttore Didattico Liburdi che spesso veniva a verificare il nostro lavoro e a dare consigli. I suoi suggerimenti erano preziosi, ci consigliava di lasciare da parte tutto il nostro sapere libresco e partire dall’esperienza dei soggetti che avevamo di fronte. Non voleva componimenti dai titoli assurdi, come si continua talvolta ancora a scuola, ma tratti da quell’umile lavoro. “ La storia- mi diceva- sta scritta sulla terra che calpesti; pensa-aggiungeva-quante cose possono dire quei viottoli tracciati lungo il fosso (l’Albula) o lungo le diverse strade, da una vita percorsa più a camminare all’indietro che avanti. Aiutali- concludeva- a risollevare la testa, perché altrimenti non sapranno neppure di essere vissuti”. “Partire da dove si vive”, questo era il motto del Direttore Liburdi, specialmente nella scuola dove spesso ci si astrae.
La nostra città non può dimenticare uno studioso, come il Direttore Enrico Liburdi, che ha dato prestigio alla nostra storia.
Tornando ai Funai la loro giornata era un andirivieni in trentatré metri di un viottolo, il loro futuro era negli occhi spenti dei bambini costretti a girare la ruota, in attesa di prendere a camminare come i loro padri. (Vota Ci – gira la ruota ragazzo)
L’alternarsi delle stagioni li vedeva sempre allo stesso modo, facili prede delle malattie più debilitanti
Nella società dei “vinti”, solo il rintocco delle campane avvisava dell’alternarsi degli individui e il mesto pianto delle donne era l’accompagnamento per una vita passata inosservata.
I Funai insieme ai Canapini e le Retare sono stati messi sotto la protezione di San Biagio, Vescovo armeno, martirizzato nel 316 essendo imperatore d’Oriente Licinio rivale di Costantino. Benché l’intercessione di qualunque Santo sia sempre lodevole ad impetrare una grazia, la Chiesa ha voluto glorificare in modo del tutto particolare i Santi a riguardo delle diverse virtù che praticarono, e nei diversi mali o martirio che ebbero a soffrire per amore di Dio. San Biagio viene invocato per i mali alla gola per aver guarito miracolosamente un bambino morente perché una spina di pesce gli si era conficcata in gola. Di questo male ne soffrivano anche i bambini che giravano la ruota in un ambiente di polvere e di rèschie (pezzetti di legno che rimanevano nella canapa). Malattie di gola erano frequenti. Patrono per le categorie che lavorano la canapa perché prima di essere decapitato fu martirizzato con un pettine di ferro (utilizzato per cardare la canapa).
Lodevoli tutte le iniziative che in questa ricorrenza liturgica si fanno per non dimenticare lavoratori che insieme ai marinai hanno fatto la storia della nostra città. Noi non vogliamo dimenticare la grande devozione verso San Biagio dei nostri Funai, Canapini e Retare che spinse don Francesco Sciocchetti (Lu Curate) sempre attento ai problemi della gente ad erigere un bell’altare nella Chiesa della Madonna della Marina. Lu Curate va ricordato anche per essere intervenuto con la “cucina dei poveri” quando le famiglie si trovarono in difficoltà sia per la guerra sia per un lavoro insufficiente.
A questo proposito non possiamo dimenticare un altro sacerdote, sambenedettese verace, che visse in prima persona i problemi dei funai per averne numerosi come parrocchiani: Don Francesco Traini ( lu curate de sudentre). Si rivolgevano a Lui sia i funai de lu Fusse ( l’Albula)sia altri sparsi in tanti luoghi periferici della città per avere un aiuto. E fu allora che liberati alcuni locali della parrocchia dalle macerie della guerra, pensò di adibirli a “Mensa dei poveri” aiutato dai cappellani, don Antonio Fazzini, don Salvatore Barbizzi e don Filippo Collini; alla cucina c’erano la mamma e le sorelle del Curato..
Soprattutto il suo aiuto fu fondamentale quando con l’avvento del naylon la lavorazione della canapa andò in crisi e molte famiglie si ritrovarono senza più uno stipendio anche se modesto. Nelle dimostrazioni che seguirono con cartelli davanti al vecchio Comune don Francesco era in prima fila e fu interprete efficace con le Autorità del tempo. Comprese che in un mondo industrializzato era necessario un minimo di cultura e al Paese Alto furono istituite le scuole serale, come ho scritto in precedenza, specialmente per i ragazzi che erano stati utilizzati a girare la ruota fin da bambini. Lu Curate fu in prima fila anche in questo.
La storia è anche questa!!!