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San Benedetto, Istituto Capriotti, la parola a Megy Dafa, Giorgia Giangrossi, Andrea Gioia e Andrea Tesoro

SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Diamo voce ai giovani! Incontriamo oggi Megy Dafa, Giorgia Giangrossi, Andrea Gioia e Andrea Tesoro, tutti studenti della classe 5° AFM dell’Istituto d’Istruzione Superiore Augusto Capriotti.

Quali criticità o difficoltà riscontrate nella vostra scuola?
Megy: Non ci sono particolari criticità nel nostro Istituto. L’unica cosa che potrebbe essere migliorata è l’uso della biblioteca durante le ore scolastiche: di recente la nostra biblioteca è stata anche aperta al pubblico, quindi chiunque può accedervi; ma noi studenti, durante le ore di lezione, ci passiamo poco tempo. Secondo me, dovrebbero svolgersi alcune attività in biblioteca con una certa continuità, come si fa con la palestra in cui ci si allena spesso. Per il resto credo che tutta la scuola, intesa come istituzione, abbia bisogno di una riforma un po’ più strutturale, rivoluzionaria direi. Andrebbero modificati l’orario e le attività svolte, incentivato l’utilizzo di ambienti esterni, resa libera la scelta di alcune materie da seguire. Così come nel lavoro si sta cercando di aumentare la produttività diminuendo l’orario di lavoro, anche nella scuola bisognerebbe fare un percorso del genere.
Andrea T.: Il nostro Istituto è molto rinomato e, anche se la struttura che ci ospita è un po’ vecchia, la nostra scuola offre tante opportunità sia a livello didattico sia a livello di progetti ed iniziative. È piuttosto la scuola come istituzione a dover un po’ cambiare: dovrebbe essere un po’ più flessibile e lasciare una maggiore autonomia organizzativa agli studenti, soprattutto a coloro che praticano uno sport o suonano uno strumento o hanno una passione che li tiene occupati come dei veri professionisti. In questi casi si dovrebbe dare un programma più snello, assegnare meno compiti e tenere in considerazione anche le ore trascorse ad allenarsi.

Come state vivendo l’attesa dell’esame di maturità?
Andrea G.: Mi trovo ad affrontare questa attesa con rassegnazione e ansia. Un’ansia dovuta alla rabbia e alla frustrazione provocate dall’idea stessa di dover sostenere un esame. Perché dobbiamo giocarci cinque anni di scuola in cinque giorni di prove?! Cosa devono testare i professori su noi studenti?! Non ha senso farci sostenere un esame dopo un percorso di studi lungo e faticoso. L’essere arrivati fin lì vuol dire già essere maturi. Non aggiungo poi commenti sul fatto che questo esame sia stato modificato diverse volte: mi limito a dire che questo sicuramente non gli attribuisce serietà.
Andrea T.: Secondo me, la maturità è un’esperienza negativa, almeno a giudicare da quello che ci raccontano coloro che ci sono passati prima di noi. Però credo che sia anche formativa. E soprattutto inevitabile!
Giorgia: Io sinceramente ancora non sono entrata nel clima di tensione e non ho, al momento, particolare preoccupazione. Penso quindi che la settimana prima sarò terrorizzata!

Quale sogno avete per il futuro?
Andrea T.: Credo che mi iscriverò all’Università di Economia e Commercio. Per il futuro sono ottimista: ritengo che, con l’impegno, si possa raggiungere qualsiasi obiettivo. L’unica nota negativa è data dal fatto che mi mancheranno i miei amici.
Giorgia: Io ho le idee ancora confuse e non so cosa farò dopo la maturità. So solo che mi mancherà il rapporto che ho con i miei compagni, alcuni dei quali sono diventati dei veri amici.
Megy: Neanche io sono sicura di quello che farò dopo la maturità: a me piace Economia, ma mi piace anche viaggiare e non mi vedo a svolgere un lavoro fisso in un ufficio. Quindi devo pensarci ancora un po’ su. Della scuola mi mancherà in particolare un docente, quello di italiano e di storia: conserverò sempre nel mio cuore le conversazioni con lui, i dibattiti e il sostegno che ci ha sempre assicurato. Con i compagni credo che sarà molto difficile mantenere i rapporti perché io mi sono aggiunta a questa classe solo lo scorso anno e con alcuni c’è una conoscenza solo superficiale. Certamente qualcuno mi mancherà molto.
Andrea G.: Io sono ancora indeciso: da un lato mi piacerebbe iscrivermi alla facoltà di Giurisprudenza per poi diventare docente di Diritto o Economia Politica, dall’altro sto valutando di entrare in Accademia per accedere al Corpo di Guardia di Finanza o nella Polizia di Stato. Anche se il futuro sembra incerto, una cosa è sicura: mi mancheranno molto i miei compagni. Sebbene infatti io sia arrivato solo un anno e mezzo fa, devo dire che mi sono molto affezionato a loro e ne sentirò la mancanza.

Cosa riconoscete come valore?
Megy: Io riconosco come valore la lealtà che, per me, è alla base di ogni rapporto. Spesso nelle discussioni le persone si fanno prendere dall’orgoglio personale o dalla rabbia o dalla paura e innalzano un muro, senza riuscire a dire quello che realmente provano e pensano. Al contrario, essere leali, soprattutto nei sentimenti, è molto importante.
Andrea T.: Io riconosco come valore la famiglia, che è la prima cosa con cui una persona viene a contatto e che determina tutto il resto. Poi c’è l’amicizia che per me è essenziale: con gli amici trascorro molto tempo ed imparo molte cose. Al terzo posto metto la scuola.
Giorgia: Se dovessi fare una scala dei valori che ritengo più importanti, sicuramente al primo posto metterei la famiglia, che è la prima collettività che ci accoglie e ci cresce. Al secondo posto metterei l’ascolto. Non so se sia un valore, ma io lo ritengo tale, perché noto che spesso manca.
Andrea G.: Personalmente mi chiedo spesso cosa possa essere considerato valore e non sempre trovo risposta alla mia domanda. Ad ogni modo, tutto ciò che non ritengo di valore, lo allontano dalla mia vita, non lo prendo in considerazione. Se proprio dovessi scegliere una cosa a cui dare molto valore, potrei dire la sincerità e la capacità di non giudicare.

Lo scorso 21 gennaio avete partecipato come uditori al convegno da noi organizzato in occasione dei 10 anni dell’edizione on line del nostro giornale. Cosa vi ha spinto ad assistere all’incontro e cosa vi ha maggiormente colpito?
Andrea G.: L’idea di assistere al convegno è partita dal nostro docente di religione, il prof. Giovanni Maria Bettoni, il quale ci ha consigliato di partecipare. Io conoscevo La Pira solo per sentito dire, ma ignoravo completamente alcuni tratti della sua storia. È stata quindi una vera scoperta per me conoscere tutte le esperienze di vita di questo politico e soprattutto il ruolo che ha avuto in molte circostanze sia entro i confini italiani, sia all’estero: ha sempre promosso il dialogo politico, la pace tra i popoli, l’ecumenismo, la carità e il rispetto della dignità umana.
Megy e Giorgia: A noi è piaciuto particolarmente l’argomento affrontato dal prof. Tridente, ovvero quello dell’intelligenza artificiale e dell’uso del telefono e dei social. Ci ha colpito molto una riflessione fatta dal relatore: spesso si pensa vietare i telefoni nelle scuole, perché vengono visti come strumenti di distrazione; a nessuno invece viene in mente di istituire una nuova materia in cui si spiega come usare in modo responsabile il cellulare e renderlo un mezzo utile a raggiungere alcuni obiettivi, anche per ambiti più umanistici. La parte virtuale sembra non toccare l’aspetto più umano. Invece non è così.
Andrea T.: Ho partecipato con piacere al convegno perché ho pensato fosse importante approfondire la figura di la Pira e magari ascoltare gli interventi di relatori diversi dai docenti a cui sono più abituato. Mi ha fatto piacere inoltre trascorrere una giornata diversa dal solito, in un ambiento che non è quello abituale. È bello scambiare opinioni su argomenti nuovi con i soliti amici.

Che messaggio volete dare ai nostri lettori?
Megy: Io vorrei dire agli adulti che spesso noi giovani siamo più leali e diretti di loro. Frequentemente si parla di noi in maniera negativa e ci viene detto di imitare i grandi. Io credo, al contrario, che non solo noi possiamo imparare dagli adulti, ma anche gli adulti possono imparare qualcosa da noi: con il passare degli anni, infatti, le persone spesso dimenticano alcuni valori o li mettono in secondo piano, magari a causa delle difficoltà della vita; noi giovani possiamo ricordare loro certi valori e certi sentimenti. In tal senso sarebbe auspicabile un maggior dialogo intergenerazionale.
Andrea T.: So già che a qualcuno sembrerà strano che io, proprio io, dica questa cosa che sto per dire, ma credo veramente che la scuola insegni non solo la cultura, ma anche tante altre cose, come il rispetto delle regole e delle persone. Perciò faccio un appello ai ragazzi più piccoli: studiate! E fatelo perché la scuola è il luogo in cui si impara, ma anche il luogo in cui si cresce e ci si forma.
Giorgia: Come accennavo prima, per me è molto importante l’ascolto. Parlando con i miei coetanei, molte volte è venuto fuori il fatto che ci piacerebbe essere ascoltati di più nei contesti più disparati: a scuola, in famiglia, nella società e anche dalla politica. E questo succede non solo a noi, ma anche ad altri giovani famosi ed influenti: faccio l’esempio di Greta Thumberg, l’attivista svedese per lo sviluppo sostenibile e contro il cambiamento climatico, che, nonostante si impegni molto e con serietà a far cambiare mentalità al mondo, spesso non viene ascoltata, anzi a volte viene anche presa in giro e in particolare dai politici, i quali la ospitano per delle conferenze, ma poi non concretizzano i suoi moniti con leggi adeguate che tutelino l’ambiente. Un tempo i politici anteponevano gli interessi personali a quelli della collettività: mi vengono in mente Aldo Moro o Giorgio La Pira. Oggi questo non accade: gli interessi economici di pochi vengono messi sempre davanti a quelli della collettività. Noi giovani invece conserviamo ancora dei valori saldi e puri: ascoltarci un po’ di più non farebbe male a nessuno!
Andrea G.: Anch’io voglio rivolgere un messaggio agli adulti che spesso non ci ascoltano, ma ci giudicano e, a volte, lo fanno senza pietà. Peccato, perché i tempi sono cambiati e certi adulti non se ne sono accorti! Continuano a giudicarci con un metro di giudizio che non è di questo tempo. Dall’altro lato, anche noi giovani dovremmo essere più coscienti della società in cui viviamo e di quello che ci succede intorno. Dovremmo, ad esempio, interrogarci di più su questioni che riguardano la politica e l’economia, perché sono due aspetti importanti della vita comunitaria che incidono profondamente sulla vita quotidiana di ciascuno di noi. Ok le campagne di sensibilizzazione, ma poi nel concreto cosa possiamo fare? Iniziamo a chiederci questo e a darci delle risposte. Se ognuno di noi, nel suo piccolo, facesse così, potremmo veramente cambiare il mondo.

A questi giovani va il nostro sentito augurio di realizzare i loro sogni e di essere ascoltati. Ascoltati di un ascolto che – come dice papa Francesco – “non è un semplice udire, un udire superficiale, ma è l’ascolto fatto di attenzione, accoglienza, disponibilità verso Dio. Non è il modo distratto con cui a volte noi ci mettiamo di fronte al Signore o agli altri: udiamo le parole, ma non ascoltiamo veramente”. Un ascolto vero, profondo, attento. Un ascolto che viene dal cuore e che apre i cuori.

 

Carletta Di Blasio: