DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del Monastero Santa Speranza di San Benedetto del Tronto.
Dice Gesù ai suoi discepoli: «Risplenda la vostra luce davanti agli uomini perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli».
Ma quali sono le opere buone di cui Gesù parla nel brano del Vangelo di questa domenica?
Ci risponde il profeta Isaia, nella prima lettura e ci parla di un Dio che chiede il digiuno: ma digiunare, per il Signore, non significa non mangiare, il digiuno, per il Signore, non è la pia e devozionistica pratica religiosa da compiere per attirarci le benedizioni o i favori di Dio. Dio, ci dice sempre il profeta, non gradisce, infatti, un culto che non tocchi la vita, giudica insensato il sacrificio senza l’amore, trova stucchevole un tributo a Dio che non passi attraverso la giustizia verso i fratelli, la condivisione della pena di chi soffre.
Non c’è atto di culto, cioè atto di amore verso il Signore, che prescinda da un atto di solidarietà verso il prossimo. Dice infatti il Signore per bocca del profeta: «Non consiste forse [il digiuno che voglio] nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti?».
Ad un digiuno per fini egoistici, Dio preferisce una luminosa commensalità. Ascoltiamo ancora il profeta Isaia e facciamo attenzione a come finisce la frase: «Se toglierai di mezzo a te l’oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, se aprirai il tuo cuore all’affamato, se sazierai l’afflitto di cuore la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà presto. Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà. Allora invocherai e il Signore ti risponderà, implorerai aiuto ed egli dirà “Eccomi!”».
Tutto questo camminare incontro all’altro provoca una sorta di rimbalzo a nostro favore: colui, infatti, che vede i bisogni e le sofferenze altrui e interviene per alleviarli, vedrà rimarginarsi le proprie ferite, farà l’esperienza di un Dio che gli viene incontro proprio nel suo farsi incontro ai fratelli.
Non si tratta, infatti, scrive giustamente Paolo nella sua prima lettera ai Corinzi, di annunciare «il mistero di Dio con l’eccellenza della Parola o della sapienza» ma di fondare la nostra fede e quindi la nostra testimonianza, la nostra vita, non «sulla sapienza umana ma sulla potenza di Dio». E qual è questa potenza «se non Gesù Cristo e Cristo crocifisso?». Il Dio che si fa piccolo per i piccoli, debole per i deboli, sconfitto per gli sconfitti.
E’ questo il nostro essere, stare, vivere nel mondo: «Voi siete il sale della terra…voi siete la luce del mondo…»: nessuna ansietà di convertire o di far vedere ciò di cui siamo capaci, ma la semplice e umile capacità di lasciare che l’amore di cui il Signore ci ha fatto fare esperienza, illumini tutti.