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Vita consacrata, ritorno alle radici

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

Diana Papa

La società in questo tempo sembra cercare una nuova ricollocazione sulla faccia della terra e anche noi, donne e uomini consacrati, che ne facciamo parte, siamo alla ricerca di una nuova identità.  Quale?
Non sono i metodi, gli strumenti che rendono nuova l’esistenza, occorre rivisitare i fondamenti e le motivazioni della nostra scelta di consacrazione, per capire se è ancora fondata su Gesù Cristo e sul Vangelo, perché solo il senso ci aiuta a tenere fisso lo sguardo su di Lui, per non deviare a destra o a sinistra, smarrendo così la strada che porta alla meta.
Rileggere la nostra vita illuminati dal soffio dello Spirito ci aiuta a cogliere senza compromessi ciò che realmente va convertito evangelicamente, perché la nostra esistenza possa essere “memoria vivente del modo di essere e di agire di Gesù” (VC 22), come ha indicato ancora una volta il Dicastero.

Se le comunità oggi sembrano attraversate dalla crisi vocazionale, è solo questione di mancanza di vocazioni o è urgente riflettere seriamente verso dove stiamo andando?

Fare un’analisi delle molteplici cause sociologiche non basta. Ciò che in questo tempo è fondamentale e che va subito preso in considerazione è rivisitare la qualità della nostra vita. Bisogna verificare se Gesù Cristo è il centro della nostra esistenza, se la testimonianza è veramente evangelica, se la nostra vita è riflesso del Signore che ci abita costantemente, se stiamo curando una profonda spiritualità senza chiuderci in un asfissiante intimismo, se c’è concretamente il desiderio e la conseguente attuazione di “allargare la tenda” del nostro cuore, a livello personale (non individuale) e fraterno, perché le sorelle e i fratelli del nostro tempo vicini e lontani possano trovare sempre ospitalità in noi.
Altro elemento che interroga è la qualità delle nostre relazioni. In una invocazione della preghiera delle lodi è scritto: “Concedi a noi, Signore, di rimanere sempre nel tuo amore, per non essere divisi gli uni dagli altri”. Qual è la causa della spaccatura nella persona e nella fraternità, nella società, nella storia? Forse ci manca la capacità costante di scegliere ogni momento che “tutto quello che facciamo in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù” (cfr. Col 3, 17)?

Quando viviamo un’esistenza non unificata in Cristo, tutto ciò che accade nel quotidiano è giustificato dalla rivendicazione della difesa del “secondo me” che sfocia spesso nell’alzata delle barricate, dove si consuma la divisione tra “il noi e il voi”.

Si parla oggi della “dittatura dell’autenticità”. Il diritto di difendere il proprio pensiero o il pensiero unico porta l’individuo ad esprimersi senza vagliare il bene proprio e comune e individuare con altri la verità oggettiva. Manca in alcuni frangenti la capacità di interrogarsi, per capire se ciò che si pensa, si sente o si vuole dire infrange la comunione. Quando si cerca insieme e non navigando contro, si trova un metodo che consente di ricomporre il dialogo in modo empatico e ascoltante e vissuto alla presenza di Dio.
È necessario oggi e poi sempre un ascolto privo di pregiudizi, di convinzioni, di critiche distruttive, che favorisca la capacità di cogliere la realtà dell’altro nella sua interezza. In questo cammino sinodale ognuno è chiamato ad allenarsi, per non entrare in collisione con l’altro/a, per non lasciarsi agganciare dal pensiero fondato sulla rivendicazione del bisogno individuale. Nella spogliazione di se stessi, per scegliere di seguire le orme di Cristo, possiamo testimoniare fattivamente il desiderio di voler rimanere in relazione sempre, nonostante tutto…

La nostra significatività passa dalla cura della relazione con il Signore, dall’essere riflesso della Sua presenza, dal custodire le relazioni con tutti, dal servizio gratuito come ci ha insegnato Gesù, dalla capacità di cogliere anche nei cosiddetti “lontani” la bellezza della loro vita animata da un cuore che ama nella gratuità, dal non possedere nulla per essere compagni di viaggio di coloro che sono poveri a livello materiale o esistenziale, dal custodire il creato con tutti gli uomini e le donne di buona volontà, per contemplare insieme la bellezza della vita che ci è stata donata gratuitamente.

Quale primo passo da compiere?
Scoprire che siamo sempre alla presenza di Dio, anche quando ce ne dimentichiamo, e vivere in relazione con tutti, con tratto amabile e profondamente umano che rende visibile l’amore trinitario, a partire da quelli che sono accanto a noi.

Redazione: