In Italia quasi un milione e 400mila minori vivono in povertà assoluta: una percentuale media del 14,2% di tutti i giovanissimi, che tocca però il 16% nel Mezzogiorno. Un disagio economico che spesso si traduce in divario educativo perché
povertà economica e povertà educativa si alimentano a vicenda.
I più recenti dati Ocse-Pisa indicano infatti come i ragazzi delle famiglie più povere abbiano risultati in lettura e matematica molto inferiori ai coetanei che vivono in famiglie agiate. Donatella Turri è membro dell’équipe di direzione di Caritas Italiana all’interno della quale si occupa, tra l’altro, di povertà educativa e dispersione scolastica. All’indomani della presentazione a Roma dell’edizione 2022 del programma “Arcipelago educativo” da parte di Save the Children Italia e Fondazione Agnelli per il recupero della perdita di apprendimento legata ai mesi estivi, l’esperta sottolinea al Sir che “gli ultimi dati Istat certificano un’incidenza della povertà relativa e assoluta dei minori che non avevamo mai toccato dal 2005”; una povertà spesso “più incidente sulle aree interne (circa 4mila Comuni con 13 milioni di abitanti, a forte rischio spopolamento, in particolare per i giovani, ndr) dove la qualità dell’offerta educativa risulta frequentemente compromessa”. Per questo, prosegue, un’iniziativa come “Arcipelago educativo” è “particolarmente interessante perché lavora proprio sull’organizzazione e la vita del territorio”. La povertà educativa, spiega Turri, si sviluppa in “un contesto familiare culturalmente fragile; rispecchia insomma una situazione di povertà educativa dei genitori che hanno titoli di studio bassi, corrispondenti al vecchio diploma di scuola media”.
Povertà educativa e povertà materiale sono sempre correlate?
Chi sperimenta la prima ha più probabilità rispetto ai propri coetanei di sperimentare in età adulta la povertà economica e di trasmetterla, a sua volta, ai propri figli. Nell’ultimo rapporto Caritas abbiamo parlato di pavimenti appiccicosi, ossia di come la povertà educativa sia uno dei fattori di intergenerazionalità della povertà.
Una mancata attenzione a questo fenomeno rischia di condannare i bimbi di oggi ad un futuro davvero cupo.
Come costruire un’autentica comunità educante?
Attraverso l’alleanza di studenti, famiglie, scuole, territorio e terzo settore, indispensabile per avviare efficaci azioni di contrasto della povertà educativa. Limitare l’intervento unicamente al contesto scolastico, ritenendo che solo la variabile scuola sia significativa nel percorso di accompagnamento dei ragazzi con più fragilità, è una prospettiva miope. Sappiamo ormai che i processi di apprendimento non si realizzano solo nei contesti “formali”, quindi nelle aule, ma diventano davvero efficaci quando riescono a mescolare elementi del dentro e del fuori classe, quando quello che si fa a scuola viene collegato con le esperienze del tempo extra scolastico.
Qual è il ruolo del territorio?
Fondamentale.
La sfida alla povertà educativa si affronta solo puntando ad un’alleanza in grado di ricostruire quei legami sociali per cui il territorio diventa una grande scuola aperta.
Se i territori rimangono “chiusi” ci saranno poche occasioni per i bambini per sviluppare i propri talenti, aprire l’immaginario, capire che cosa piace loro fare, entrare in contatto con la lettura, l’arte, la cultura, lo sport. Se il territorio non si riappropria di questi spazi e di questi agenti di bellezza sarà difficile contrastare la dispersione scolastica in primis, ma anche, più in generale, l’impoverimento culturale e di immaginario dei bambini.
Lei insiste sul concetto di “immaginario”. Perché?
Nei bambini che vivono condizioni di deprivazione educativa, la prima cosa ad essere deprivata è l’immaginario. Quando da piccoli ci chiedevano che cosa avremmo voluto fare da adulti, avevamo sogni straordinari, elevatissimi; invece l’immaginario di questi bambini è stato spesso eroso dalle situazioni di privazione in cui si trovano.
E’ raro che coltivino sogni sul proprio futuro.
Un’esposizione al bello, al legame sociale, all’incentivazione, alla fiducia nelle proprie possibilità; il ricevere continuamente anticipi di fiducia sul loro capitale di talento e immaginazione è invece indispensabile per una crescita equilibrata ed armoniosa, per poter coltivare desideri e sogni.
Altra parola chiave: bellezza…
Mettere i bambini in grado di coltivare la bellezza è importantissimo. Ci sono valide esperienze sul territorio di alleanze con musei, teatri, associazioni anche molto piccole, che però riportano al centro il linguaggio della danza, dell’arte, e abituano i ragazzi ad entrare in contatto con parti di sé che altrimenti resterebbero sepolte. Sappiamo quanto, soprattutto dopo il Covid, sia aumentata l’incidenza di problemi di salute mentale nei giovanissimi. Questa esposizione alla bellezza – ma anche allo sport di squadra con la sua disciplina e le sue regole di socialità – consente di affinare la sensibilità e di maturare una dimensione cooperativistica e di investimento sui propri talenti e le proprie energie, fondamentale per la crescita.
Qual è la sua opinione sull’ipotesi di apertura estiva delle scuole?
Ritendo sia una pratica di grande civiltà:
le scuole dovrebbero tornare ad essere case di comunità, di cultura e di cittadinanza.
Non bisogna immaginare un’apertura che prolunghi semplicemente il tempo dell’apprendimento formale invernale; occorrono luoghi in cui apprendere con il linguaggio delle mani, del corpo e delle relazioni; in cui ci “contaminarsi” con la città. Se aprire le scuole durante l’estate significa animare questi luoghi di cittadinanza, questa è una risposta dovuta ai bambini più “fragili” nei quali bisogna innestare la voglia di tornare a scuola.
Questo ovviamente comporta degli investimenti.
Mai come oggi, anche grazie al Pnrr, gli istituti hanno avuto a disposizione risorse che rischiano però di essere spese in maniera poco efficace se non finalizzate ad alimentare questa cultura della comunità educante. Sempre più le scuole dovrebbero pensarsi come hub di educazione in grado di coinvolgere in maniera più ampia i quartieri, il terzo settore, le associazioni del territorio. Occorre spendere in modo efficace, misurando la qualità dei percorsi attivati per uscire a poco a poco dalla sperimentazione e arrivare ad un cambiamento strutturale di dinamiche e modalità di approccio alla povertà educativa.
Qual è il ruolo della Caritas?
In Caritas si sono create proficue alleanze con quell’enorme patrimonio di animazione giovanile che da sempre alimenta l’esperienza di parrocchie, oratori e associazionismo cattolico. Una “contaminazione” per creare attenzione e capacità di intercettare queste forme di fragilità anche molto sottili, perché un bambino non riesce a leggere e non racconta la propria povertà educativa. Grazie a questa rete capillare che attraversa tutto il paese, Caritas ha un bacino di grande attenzione su questi temi e sta lavorando per migliorare l’accoglienza dei bisogni e l’efficacia delle risposte.
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