DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del Monastero Santa Speranza di San Benedetto del Tronto.

“In quel tempo Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame.”

La prova del deserto è quella del digiuno e della fame ed è qui, in quello che, anche per Gesù, è un momento di debolezza, di difese abbassate, che scatta la tentazione, che si inserisce il diavolo, il divisore.

Prima tentazione: “Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane…”

Che Figlio di Dio sei se non puoi trasformare le pietre in pane e così sfamarti? Perché non usi il potere che è proprio di un Figlio di Dio e dimostri, con questo gesto, la forza che è propria di un Figlio di Dio?

Seconda tentazione: “…lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù…”.

Se sei Figlio di Dio dimostralo facendo ciò che è impossibile agli uomini: buttarsi dall’alto e non morire, tanto ci sono gli angeli pronti ad intervenire e che ti verranno a soccorrere.

Terza tentazione: “…lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai…”.

Che Dio sei senza potere sui regni della terra? Che Dio sei senza schiavi, senza sottoposti, senza sudditi?

Proviamo a riassumere queste tre tentazioni. E’ come se il diavolo, avvicinandosi a Gesù e sollecitandolo come abbiamo letto, gli voglia dire: ti dico io come devi fare Dio! Ti suggerisco io come si deve comportare un vero Figlio di Dio! Il Diavolo tenta Gesù per spingerlo ad incarnare un Dio potente, miracolistico, padrone, lontano anni luce dall’uomo e dalla sua storia. Gesù sceglie, invece, di non avere, di non essere, di non potere. Egli sceglie di restare Figlio di un Dio che è Padre, continuando a custodire quella voce che lo ha accompagnato durante il Battesimo al fiume Giordano: «Questi è il Figlio mio, l’amato». Una Parola d’amore del Padre che, per Gesù, è un’intima certezza che non ha bisogno di alcuna prova.

La lotta, quindi, per Gesù come per tutti, è un esercizio di discernimento tra le parole e la Parola della Scrittura a cui fa ricorso anche il tentatore, l’abbiamo letto nel Vangelo ma lo ritroviamo anche nella prima lettura.

Il serpente del libro di Genesi vuole separare l’uomo da Dio, per legarlo a lui, al suo punto di vista. Lo fa travisando volutamente la realtà: «E’ vero che Dio ha detto: “Non dovete mangiare di alcun albero del giardino?”». Travisa anche l’immagine di Dio, la distorce: «Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste [del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino] si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male». Genera confusione perché il suo scopo non è quello di costruire una relazione ma di rovinarla, di deviarla. L’immagine che egli dà di Dio è scorretta: un Dio geloso, invidioso, che vuole il male della sua creatura. Le sue parole non aiutano, come quelle di Dio, a riconoscere il bene e il male, ma a giudicare secondo i propri gusti e i propri bisogni. Adamo ed Eva perdono la loro intimità con Dio, e questo fa scoprire loro, in termini negativi, la propria nudità, il proprio limite.

Ascolto, Parola, relazione: sono questi i termini di una fede che ci chiama concretamente ad abbandonarci fiduciosi al Dio amante dell’uomo, compagno dell’uomo, che, ogni giorno, ci fa gustare il suo Tutto, ci fa possedere il suo Tutto, ci fa godere del suo Tutto.

Non è questa una esenzione da “tentazioni”, difficoltà, paure, esperienza del limite…ma la possibilità di riconoscere, come ci dice San Paolo, nelle nostre «molte cadute», «il dono di grazia» di Dio, Padre misericordioso di ogni uomo.

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