(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

Silvia Rossetti

La maturazione di una maggiore consapevolezza nei confronti della situazione ambientale e dell’emergenza climatica pare stia sollecitando fra le giovani generazioni l’insorgere di un nuovo tipo di inquietudine, l’“eco-ansia”
In realtà questo tipo di disagio non riguarda soltanto i ragazzi, colpisce anche gli adulti e si traduce spesso in una sorta di “paura cronica del destino ambientale”, i cui sintomi più diffusi sono rabbia, preoccupazione, sfiducia, stanchezza e senso di colpa. Non di rado si giunge a sviluppare vere e proprie ossessioni o fobie, le più frequenti riguardano l’alimentazione e il proprio corpo. C’è da dire che alcuni fattori, rendono più vulnerabili all’eco-ansia e, tra questi, figura la giovane età.
Bambini e adolescenti, in questo periodo storico, sono stati “investiti” dalla crisi ambientale e climatica e anche, giustamente, “responsabilizzati” attraverso percorsi educativi e campagne di informazione. Anche i mesi della pandemia hanno contribuito a rafforzare questa coscienza di appartenenza “globale” al Pianeta e ad acquisire la consapevolezza che le nostre abitudini e il nostro stile di vita hanno un impatto sull’esistenza di tutti. Ma essere informati sulla crisi climatica può creare scompensi e rendere ancora più fragili. I ragazzi si rendono conto di non avere alcun potere decisionale, le questioni del nostro Pianeta sono gestite infatti dalla politica e dalle istituzioni, e questo può contribuire alla crescita del senso di frustrazione, insieme a sentimenti di disperazione e impotenza.
Negli ultimi anni sono aumentate le ricerche scientifiche riguardanti le ripercussioni dei cambiamenti climatici sulla psiche. Pare che le ansie per la salute del Pianeta agiscano a diversi livelli. Si parla di “lutto ecologico” e di una sorta di “melanconia ambientale”, entrambe accompagnate da un senso di perdita e di ineluttabilità. La frenesia “ambientale” può acuire anche una certa propensione al “controllo” ossessivo delle proprie azioni.
Si parla di “eco-psicologia”, un ambito di ricerca nuovo, che opera sul piano individuale e collettivo. Le strategie su cui si basa sono le tecniche di mindfulness e l’approccio resiliente. Si punta, inoltre, alla partecipazione attiva e solidale per la costruzione di un ecosistema forte e comunitario dal punto di vista della salute mentale. La risposta, quindi, ai timori che riguardano il mondo passa attraverso la realizzazione di una comunità cooperante e viva, che si nutra di confronto e solleciti scambi proficui al proprio interno.
È corretto evidenziare il “legame viscerale” tra esseri umani e Natura, ma al contempo occorre promuovere anche azioni di fiducia e di speranza che rinforzino il senso di appartenenza. I giovani devono poter avere la percezione di diventare parte della soluzione del problema e di essere in grado di fornire un aiuto concreto nella prevenzione e nella sensibilizzazione orientata alla ecosostenibilità.
Tra queste azioni, i Fridays for future, possono costituire catalizzatori di energie e di fermento orientati al benessere e alla realizzazione di buone prassi. Ma le proposte devono andare ben oltre la frenesia di una giornata. La sostenibilità e l’etica ambientale non possono essere “percorsi” separati, essi vanno integrati con continuità all’interno delle diverse discipline scolastiche e devono far parte dei codici educativi di noi adulti. Essere “green” non deve divenire una “posa”, ma un vero e proprio “abito” mentale.
Anche la riflessione sulle civiltà del nostro passato può aiutarci a comprendere e a far comprendere quanto il legame fra uomo e ambiente sia determinante e fondamentale. Forse questo tipo di approfondimento potrebbe fare anche da contrappeso all’impennata tecnologica e virtuale che stiamo vivendo e concorrere alla formazione di una coscienza “umanistica” all’interno di un mondo sempre più digitalizzato.

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