DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del Monastero Santa Speranza di San Benedetto del Tronto.
E’ da qualche tempo che, a Pietro e agli altri apostoli, i discorsi di Gesù non sembrano poi così rassicuranti: il Signore parla di sofferenza, di dover morire, di una sequela che è tale solo se si rinnega se stessi prendendo la propria croce, di una vita salvata perché perduta.
Perché deve essere tutto così in salita, così difficile da capire, da portare avanti? Qual è il senso della morte, del fallimento, di una vita perduta nella sequela di un Gesù Messia da cui, invece, ci si aspettava la liberazione di Israele, di tutto il popolo, la restituzione di una dignità ormai annientata da tempo?
Gesù, oggi, materialmente, fa compiere a Pietro, Giacomo e Giovanni proprio un cammino in salita, fino a raggiungere la cima del Monte Tabor: lì si trasfigura davanti a loro.
«Il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce…ed ecco una voce dalla nube che diceva: “Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo”».
Cosa vedono gli apostoli? Gesù trasfigurato, vale a dire Gesù nella sua gloria, nel suo cammino che, attraverso la morte, porta alla resurrezione.
Trasfigurazione, non trasformazione. Gesù non trasforma il suo corpo ma si lascia avvolgere dalla gloria luminosa di Dio. E’ un grande mistero che siamo chiamati a contemplare, noi che così spesso siamo ossessionati dal cambiamento: cambiare il nostro corpo, cambiare la nostra immagine, cambiare le situazioni, cambiare l’arredamento di casa. Cambiare o trasfigurare? Cambiare o lasciar penetrare, lasciarci illuminare dal mistero di Dio, dalla luce che abita in ciascuno di noi, da quello Spirito, come scriveva San Paolo, qualche domenica fa, di cui siamo tempio, abitazione?
Lo leggiamo anche nella lettera che lo stesso Paolo scrive a Timoteo: «Cristo Gesù ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e l’incorruttibilità per mezzo del Vangelo». Non solo il viso, le vesti, non solo i discepoli ma la vita, qui, adesso, di tutti.
Come riconoscerla questa luce? «Ascoltatelo», dice «una voce dalla nube», la voce del Padre.
Ascolto della Parola del Signore, dare tempo e cuore al suo Vangelo. Ascoltare per assaporare la sua bellezza che ci ristora nel deserto delle nostre fatiche quotidiane. Ascoltare per rimettere ordine nella nostra vita.
L’esperienza del Monte Tabor, dunque, non aliena i discepoli dalla storia, anzi, li rende capaci di attraversare la fatica, la croce, il non senso che la vita porta con sé, il dolore, l’incomprensione, la solitudine, il tradimento, la fuga.
E da a loro e a noi, oggi, la parole e il coraggio di dire che la resurrezione, cioè l’oltre di Gesù, è anche il nostro e dà spessore alla nostra umanità fragile e limitata.
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