DIOCESI – Grottammarese di 74 anni, ex funzionario di Banca San Paolo e padre di tre figli, conosciamo meglio Giuseppe Paci, nominato dal Vescovo Carlo Bresciani, nuovo presidente della Fondazione Caritas San Benedetto del Tronto ETS.
Come è entrato a far parte del mondo Caritas?
Sono arrivato qui in Caritas nel 2009 per motivi legati al mio lavoro. All’epoca ero già in pensione da qualche anno, dopo aver diretto la sede centrale di San Benedetto del Tronto della Banca Sanpaolo, l’ultima filiale di cui sono stato direttore. In quegli anni la CEI aveva messo a garanzia presso Banca Sanpaolo un fondo cospicuo per aiutare le famiglie italiane ad uscire dalla crisi. Le singole famiglie quindi si rivolgevano alle Caritas Diocesane le quali, a loro volta, attraverso la consulenza di ex funzionari di banca come me, impostavano una pratica per una richiesta economica che, una volta deliberata, comportava l’erogazione di un prestito a tasso molto agevolato che prendeva il nome di “prestito della speranza”. Nel garantire il prestito, la CEI intendeva perseguire l’inclusione sociale e lavorativa della persona, facendo leva sulla responsabilità personale e sulla libera iniziativa, in modo da favorire una ripresa economica e la creazione di un lavoro. Io, come ex funzionario di Banca Sanpaolo di San Benedetto, fui chiamato ad occuparmi di tutte le pratiche della Caritas diocesana sambenedettese. Da qui è iniziata una collaborazione che ancora oggi non termina! Tra il 2011 e il 2012 il diacono Umberto Silenzi, che all’epoca era il presidente della Caritas Diocesana, mi chiese di proseguire il mio servizio come volontario in Caritas.
Quali servizi ha svolto in Caritas come volontario?
Nel 2015, poiché Umberto aveva l’incarico da parte della CEI di seguire alcune Diocesi in Africa e nelle Filippine, gli successe nella presidenza don Gianni Croci. Con lui è partita una gestione completamente diversa, dettata anche dalla presenza di un numero sempre maggiore di persone che si rivolgevano a noi. Negli anni siamo arrivati a dei risultati importanti sia per numero di persone aiutate sia per servizi erogati e voglio sottolineare che, al di là del singolo contributo, siamo riusciti a raggiungere notevoli obiettivi, grazie alla costituzione di una squadra unita nella generosità e negli intenti. Il mio compito, in particolare, era doppio: prima di tutto ero responsabile della distribuzione dei viveri all’interno della Caritas e poi ero anche presidente della onlus Santa Teresa d’Avila che collaborava a strettissimo contatto con la Caritas. Negli anni ho proseguito questo servizio fino ad oggi, fino a quando mi è arrivata questa nomina del vescovo Carlo Bresciani a presidente della Fondazione.
Cosa ha dato alla Caritas e cosa ha ricevuto in cambio?
Ho semplicemente donato le mie competenze ed il mio tempo agli altri: è questa una cosa semplice, ma allo stesso tempo impegnativa. Fin dai primi giorni l’impegno in Caritas è sempre stato molto grande e nel tempo lo è stato sempre di più. Di recente inoltre, con la riforma del terzo settore, da Caritas Diocesana facente capo al Vaticano siamo passati ad essere una Fondazione Caritas ETS, con tutto quello che ne consegue sia a livello amministrativo che pratico, quindi con un dispendio di energie e di tempo non indifferente. Personalmente sono stato sempre disponibile in quanto, essendo vedovo, ho molto tempo libero: ho perso infatti mia moglie per una malattia incurabile molti anni fa. I miei tre figli – Davide, Simone e Giulia – hanno rispettivamente 46, 41 e 31 anni, quindi sono autonomi ed indipendenti. Solo i tre nipotini, a volte, mi distolgono dal mio impegno in Caritas, ma credo che sia anche giusto così!
Per quanto riguarda quello che ho ricevuto dall’esperienza in Caritas, voglio fare una premessa. Prima di entrare in Caritas, ho avuto una brillante e soddisfacente carriera in Sanpaolo, anche perché amavo molto il mio lavoro: sono partito come impiegato, poi sono divenuto caporeparto, in seguito vice-capoufficio ed infine funzionario a Fermo. Ricordo che una volta addirittura io ed un collega abbiamo ricevuto un riconoscimento come i migliori direttori di sedi di tutta la Banca, i migliori d’Italia. Nei lunghi anni di professione quindi ho gestito consessi ritenuti molto più importanti e prestigiosi di quello in Caritas, ma il consesso che sono chiamato a gestire oggi è molto più stimolante e soprattutto più gratificante, perché mettere a disposizione la mia competenza e le mie capacità gestionali è motivo di orgoglio per me. Quando si dona qualcosa agli altri, la gioia è sempre maggiore di quando la si riceve.
Cosa cambierà ora con questa nomina a presidente della Fondazione Caritas? Quali obiettivi si pone per il futuro? Quale impronta vuole lasciare?
Rispetto a pochi giorni fa, è cambiato poco e niente! Certamente ora il mio sarà un lavoro più gestionale che pratico. In particolare bisognerà riallineare una serie di servizi e ridistribuire gli incarichi degli operatori Caritas: attualmente abbiamo cinque collaboratori con partita iva, poi tra un paio di mesi giungeranno anche quattro volontari del Servizio Civile e soprattutto possiamo contare sui tanti volontari che non percepiscono alcuna retribuzione, ma che si impegnano quotidianamente per offrire il servizio migliore, l’ascolto migliore, la vicinanza migliore che si possa dare.
Per il resto io sono abituato a riflettere molto, ma sono anche uomo molto pratico, sono abituato ad agire per raggiungere gli obiettivi che mi prefiggo. Pertanto bisognerà lavorare in modo tale da mantenere i risultati ottenuti finora. Attualmente eroghiamo pacchi viveri per circa 250 famiglie, che corrispondono a 438.000 pasti, oltre ai circa 51.000 pasti che vengono distribuiti in mensa, ai 4.500 pasti che vengono forniti alle Suore e ai circa 18.500 pasti che vengono distribuiti presso i 6 dormitori che abbiamo e che accolgono persone indigenti senza fissa dimora. Oltre ai servizi di distribuzione di cibo e vestiario e al servizio docce che è aperto due volte alla settimana, abbiamo anche un centro di ascolto attivo tutti i giorni dal lunedì al venerdì.
Oltre a questo, bisognerà avere un occhio più attento alle difficoltà che giornalmente siamo chiamati a gestire, anche per salvaguardare l’incolumità dei nostri operatori. Noi accogliamo, infatti tutti, ma spesso non è facile. Essere a contatto con gli ultimi significa avere a che fare con persone che hanno problemi di dipendenza, persone con problemi psicologici anche importanti, persone che giungono in Italia con l’idea di migliorare le loro condizioni di vita e invece si ritrovano in estrema difficoltà.
Che messaggio vuole dare ai lettori?
A tutti i lettori vorrei dire di sostenerci. Mi rivolgo direttamente a loro: aiutateci a gestire le nostre problematiche con qualsiasi genere di aiuto, che si tratti di denaro o di competenze o semplicemente di tempo. Se avete la possibilità di offrirci un servizio o degli aiuti, dateci una mano. Nessuno è così povero da non avere nulla da donare.
Infine vorrei cogliere l’occasione per ringraziare tre persone: il vescovo Carlo Bresciani per la fiducia che mi ha accordato, il diacono Umberto Silenzi che mi ha fatto conoscere da vicino il mondo della Carità ed infine don Gianni Croci per la sua testimonianza di vita. Don Gianni è un fenomeno della pastorale. L’altro giorno, a seguito di un brutto episodio avvenuto qui in Caritas, gli ho chiesto: “Qual è il limite oltre il quale non è giusto accettare comportamenti scorretti?” Don Gianni mi ha detto che avrebbe dovuto pensarci prima di rispondermi. Due giorni dopo gli ho posto nuovamente la domanda e gli ho chiesto se avesse trovato la risposta. Mi ha detto di sì ed ha aggiunto: “Non c’è limite al perdono”.