Di Ana Fron, Rubrica “Immigrazione”
Leggi la prima puntata: Quanti immigrati ci sono nel territorio della diocesi?
Leggi la seconda puntata: Immigrati e cure mediche – Informazioni utili
Leggi la terza puntata: Diocesi di San Benedetto, gli immigrati residenti sono 13.588, le nazionalità presenti nei vari comuni
Leggi la quarta puntata: Ana Fron: “La gratitudine”
Leggi la quinta puntata: Partenza senza arrivo
Leggi la sesta puntata: Le badanti e la loro condizione di vita
Leggi la settimana puntata: Considerazioni sulla Scuola e l’abbandono scolastico
Leggi l’ottava puntata: San Benedetto, Ana Fron: l’importanza della Comunicazione Interculturale
Leggi la nona puntata: I Sambenedettesi seguono con attenzione il caso di Omnia
Nella mia attività di operatrice nel campo dell’Immigrazione, che ho svolto nelle Scuole, nei Tribunali, nelle Associazioni varie, nei Comuni, ho avuto a che fare con diverse nazionalità ed etnie; a volte numerose come quelle rumene, albanesi, altre volte meno, come quelle del Gabon, Namibia, Vietnam, ecc. Raramente però mi sono imbattuta in situazioni lavorative che riguardassero i rom, e quelle poche volte, per interessi di persone private e non delle istituzioni. L’avvicinamento mancato da parte delle istituzioni, nel tempo, ha contribuito alla rottura definitiva tra la popolazione di questa etnia e il resto della società. Per molte persone i rom sono “altro da me”. Le fomentazioni politiche poi, l’approccio giornalistico, spesso privo di etica, e l’accettazione di luoghi comuni, hanno generato l’isolamento sociale di questa popolazione.
Ma chi sono i rom e da dove provengono?
I rom partono nel lontano anno Mille, dal nord dell’India per trovare fortuna altrove. Negli scritti di quell’epoca si parla della loro presenza a Costantinopoli e poi, in altre zone dell’Impero bizantino. Più tardi, nel XIV secolo, si possono trovare in Siria, in Egitto, in Grecia e nei Balcani dove, di quel periodo esistono testimonianze di una buona integrazione nel tessuto sociale. In altre parti d’Europa orientale tuttavia, i rom vengono bistrattati e a volte resi servi e schiavi. Con le invasioni degli ottomani in Europa e con la caduta di Costantinopoli nel 1453, questa gente si vede costretta a muoversi verso ovest: in Ungheria, in Italia, in Francia, in Germania e in Spagna, in Svezia e in Inghilterra. A seconda della società di accoglienza, riesce più o meno a integrarsi.
La parte che mantiene l’identità nomade, vive e si sposta di città in città in gruppi fino a circa 200 persone. All’arrivo in un nuovo luogo, si accampano fuori le mura cittadine, spesso vicino ai mercati, dove commerciano cavalli, utensili per la casa e la cucina e altri oggetti di ferro e rame di propria produzione. Nel 1422 Ludovico Antonio Muratori padre della storiografia italiana, descrive i rom come persone di aspetto esotico, che incuriosiscono i locali; gli uomini sono alti, con capelli e barbe lunghe, le donne vestono degli abiti di telo scollati, hanno quasi sempre un bambino in grembo che curano con premura e sono intente ad indovinare il futuro in cambio di cibo o altro.
Verso la fine del 1400 il Ducato di Milano, come anche altri ducati, Federazioni e Regni dell’Europa, iniziano a limitare gli ingressi ai confini. I rom che scelgono di fermarsi e adeguarsi al modo di vivere delle società di arrivo vengono assorbiti all’interno della cultura locale mentre quelli che conservano la propria cultura ed identità cominciano ad essere malvisti e malvoluti.
È l’inizio di una storia lunga di persecuzione e marginalizzazione, che passando per lo sterminio raziale nazista di un numero imprecisato di persone (tra 200-500.000) arriva fino ai nostri tempi.
I rom in Italia
I primi rom arrivano in Italia alla fine del 1300, spinti dall’avanzata ottomana nei Balcani. Sono soprattutto kosovari che fuggono verso l’altra sponda dell’Adriatico, fermandosi in varie parti del Paese, soprattutto nelle grandi città come, Milano, Roma e Napoli. Questa gente acquisisce poi la cittadinanza italiana e, insieme alla popolazione locale forma lo strato sociale di oggi.
Più tardi, con la caduta del muro di Berlino (del 1989), le popolazioni dell’est Europa varcano i confini geografici verso i paesi dell’Ovest. Nell’ondata migratoria ci sono anche i rom, finiti soprattutto nei campi fatiscenti delle grandi città.
Oggi la comunità rom in Italia è stimata in circa 70.000 membri con nazionalità italiana, e altri 70.000 di provenienza estera, ma le cifre sono approssimative perché non esiste un vero e proprio censimento. L’ultimo tentativo non riuscito di definirne la consistenza numerica è stato fatto nel 2012 a Milano, all’interno di un progetto per la protezione dei minori di etnia rom.
(Nella provincia di Ascoli Piceno sono più numerosi ad Appignano del Tronto, Spinetoli, Fermo).
Il nome
Un fatto singolare è determinato dalla loro identificazione; alle volte sono chiamati con nomi appartenenti ad una nazione o zona geografica come, “slavi”, “romeni” bohémi, altre volte con nomi di varia traduzione della parola “zingaro”, come gitano, gypsy, tzigano, ecc. Altre volte vengono chiamati “nomadi” per il loro tradizionale modo di vivere (ora piuttosto in disuso).
In Italia sono conosciuti maggiormente con gli etnonimi “rom” che significa “uomo” oppure “zingaro” da molti percepito in maniera dispregiativa- che purtroppo è il più usato. La definizione migliore che potrebbe essere utilizzata, è “manouches” dal sanscrito “uomo libero”.
La stampa ed i rom
La stampa, potrebbe pronunciare un mea culpa per il modo di presentare le notizie che coinvolgono persone appartenenti a questa popolazione. La tendenza è di fare di ogni erba un fascio e quindi di porre l’accento sull’“appartenenza” della persona all’etnia piuttosto che scrivere dell’individuo. L’etica giornalistica non permetterebbe la diffusione di notizie tali da danneggiare l’immagine di un intero popolo per le azioni dei singoli.
Tuttavia, sentiamo solo notizie sui rom, “responsabili della miseria dei campi dove vivono”, “dediti a violazioni della legge”, “colpevoli di furti e di occupazioni di case private”. Siamo tutti d’accordo che per queste azioni si deve rispondere davanti alla legge. Lasciare correre un’azione illecita, danneggia tutte le persone, in primis i rom onesti, e porta a scontri sociali.
La società e i rom
La società oggi cosa fa per cambiare il corso avverso di questo popolo? Quanti sono i progetti in questo senso? Azioni di inserimento lavorativo e sociale e di rivalutazione culturale?
Pochi, a livello locale, e non ben strutturati. Per la gravità della situazione in cui versano molti rom serve volontà al livello politico. Servono piani di riqualificazione professionale, affinché possano inserirsi nel mondo del lavoro. Serve garantire la frequenza scolastica dei loro figli. Operazioni non sempre facili ma potenzialmente risolutive. A questo punto si può esigere, da chi di loro trasgredisce, un inflessibile rispetto della legalità e un’implicazione personale all’integrazione nella società.
Se ci facessimo ispirare dal principio costituzionale del rispetto della dignità della persona, senza alcuna distinzione, riproposto anche dal Papa in occasione della “Giornata della Confessione”, quando incoraggia i fedeli a “rigettare il disprezzo per l’altro”, non avremmo che da guadagnare tutti.
Ana Fron