DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del Monastero Santa Speranza di San Benedetto del Tronto.
«Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi faccio uscire dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nella terra d’Israele […] Riconoscerete che io sono il Signore quando aprirò le vostre tombe e vi farò uscire dai vostri sepolcri, o popolo mio…».
Così scrive il profeta Ezechiele, lo leggiamo nella prima lettura che, oggi, la liturgia ci propone.
E’ una Parola che ben si ricollega alla pagina evangelica di questa domenica, pagina in cui l’evangelista Giovanni narra della resurrezione di Lazzaro.
A ben guardare, però, sembra che accanto a Lazzaro, ci siano altri personaggi, nel racconto evangelico, chiamati ad ascoltare ed accogliere questa Parola del Signore: i discepoli, Marta, Maria, i giudei, quasi che ognuno di loro sia sepolto in una personale tomba di cecità spirituale.
Quali sono queste tombe?
«Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?», dicono i discepoli a Gesù intenzionato a tornare in Giudea. Per questi discepoli la tomba è quella della paura, delle false sicurezze, quelle che non ti fanno muovere, non ti permettono di camminare, di avanzare nella vita.
«Signore, se tu fossi stato qui mio fratello non sarebbe morto», dicono sia Marta che sua sorella Maria a Gesù che arriva a Betania al capezzale dell’amico Lazzaro.
La tomba di Marta è una “religione” non ancora trasformata del tutto in vita, una fede che non è ancora relazione con una persona, Gesù. Per Maria, che piange ed è chiusa in casa, la tomba è quella di un dolore che non trova conforto, che imprigiona, che ti chiude in casa, tra le quattro mura che hai eretto tra te e la vita.
«Lui che ha aperto gli occhi al cieco non poteva anche far sì che costui non morisse?», si dicono i Giudei di fronte alla morte di Lazzaro. Per i Giudei la tomba è quella dell’incredulità, di un abbandono ancora piegato alla ragione, succube e sconfitto di fronte alla ragione.
Gesù, attraverso questa pagina di Vangelo, attraverso la resurrezione fisica di Lazzaro, chiama ciascuno di noi ad uscire dai nostri sepolcri, chiama, cioè, ad una resurrezione del cuore, ogni giorno, chiama dallo stato di assenza di energia, di speranza, di voglia di lottare e di vivere, alla vita, quella vera.
Una vita che non è una promessa solo per l’ultimo giorno ma un dono attuale, accordato e continuamente rinnovato all’esistenza ordinaria.
È il riafferrare la vita come il figlio prodigo, che torna all’esistenza tra le braccia misericordiose del Padre, e solo in lui.
Accade allora che Tommaso inviti tutti gli altri discepoli a seguire Gesù in Giudea, accade che Marta vada incontro a Gesù, accade che Maria si alzi subito, esca di casa e vada da Lui, accade che molti giudei credano in Lui. Di fronte ad un Gesù che chiama Lazzaro ad uscire dal proprio sepolcro, di fronte al suo invito, rivolto ai discepoli, a Marta, a Maria, ai giudei a togliere la pietra dei propri sepolcri, la voce del salmista risuona nei cuori di tutti i protagonisti di questo vangelo: riconosco il Signore, riconosco di essere amato, riconosco il mio bisogno di essere salvato.
Domandiamoci anche noi: da cosa abbiamo bisogno di risorgere in questa Pasqua? Da quale sepolcro il Signore deve tirarci fuori? Da cosa dobbiamo essere liberati?