Di Pietro Pompei
SAN BENEDETTO DEL TRONTO – L’attualità dell’invito di Gesù che troviamo nei Sinottici : “Chi vuol venire dietro di me, prenda la sua croce e mi segua”, è fin troppo evidente in tutte quelle croci con le quali gli uomini imbattono ogni giorno, in particolare, in tutte quelle che, in modo tragico, affrontano tanti nostri fratelli. Le notizie che ci giungono da altri continenti, anche se spesso ridimensionate, hanno tutte il contenuto di una tragica realtà: molti cristiani, fratelli nella fede, vengono uccisi per odio religioso.
Quello che spaventa non è il martirio sul quale si sono formate le nostre certezze religiose, ma l’indifferenza e la mancanza di emotività che circondano queste morti. L’abitudine, forse, per quel Crocifisso di cui ci ricordiamo quando altri lo vogliono togliere dalle pareti, sta avendo il sopravvento. Su quel martirio siamo cresciuti spiritualmente e riviverlo sugli uomini dovrebbe essere motivo di partecipazione e di sofferenza. È sconvolgente il silenzio che circonda questi, purtroppo, ripetuti episodi. “Il sangue dei martiri come seme di nuovi cristiani” di cui ci parla Tertulliano, non va pensato solo come nuove conversioni, ma anche come partecipazione e ritorno alla coerenza. Gesù in più passi del Vangelo parla con gli Apostoli dei tormenti, delle persecuzioni che dovranno subire in suo nome. In tutti e tre i Vangeli Sinottici leggiamo la profezia di tradimenti, anche all’interno delle famiglie, di arresti, di tribunali, di torture, di uccisioni. (Matteo 24. 3-14; Marco 13, 3-13; Luca 21, 7-19).
Davanti allo sguardo di Gesù, certamente, passarono le migliaia di martiri che per tre secoli insanguinarono tutto l’Impero Romano. Lo Spirito guida questa storia che parte da un Crocifisso e che si arricchisce di sempre nuovi convertiti, grazie al sangue versato. I primi tre secoli di Cristianesimo sono il momento forte della diffusione di questa nuova religione che avrà sempre, nel corso dei secoli fino ai nostri giorni, i suoi martiri. “Il martirio, che per i padri antichi è la perfezione, non è solo un’esperienza dolorosa ed eroica della Chiesa primitiva, ma un ideale che interpella in continuazione la Chiesa di Cristo, una necessità vitale a cui è legata la sua stessa esistenza, il fine a cui tende tutta la vita cristiana” (Noce, il Martirio, p.8).
Il timore di Papa Giovanni Paolo II sui danni del capitalismo si sta rivelando profetico. Nella ricerca di una vita comoda e senza scossoni ci sentiamo solo disturbati da questi episodi di violenza che, purtroppo, ci sono e ci chiamano a rimettere in discussione la nostra esistenza, a ridare senso al nostro essere e farci riflettere sul nostro essere cristiani oggi. La Chiesa, non ridotta al silenzio come ancora in tante terre, ma silenziosa per non disturbare ed essere disturbati, si è trasferita in Occidente. Se si eccettuano le denunce del Papa, difficilmente di queste violenze se ne parla tra i cristiani, nelle famiglie ed anche nelle nostre associazioni. Se non vado errato un tempo, il catecumenato passava anche per questa strada. Quanto diverso l’atteggiamento tenuto durante le persecuzioni comuniste! I nomi di Wysznski, di Stepinac, di Mintzenti ed altri erano familiari e le loro sofferenze partecipate. Venivano stigmatizzate quelle regioni quando, nel dopo-guerra, venivano sistematicamente uccisi i sacerdoti. Tra le tante ricorrenze, cui in questi giorni assistiamo, non mi sembra ce ne sia stata una a ricordare queste violenze.
In Nicaragua il Vescovo Alvarez viene incarcerato per 26 anni con accuse false, con le stesse vengono cacciate le Suore di santa Teresa di Calcutta. Quanti il 2 marzo scorso hanno ricordato l’assassinio del cattolico Shahbaz Bhatti di 42 anni: sua principale “colpa” era stata quella di essersi opposto alla legge anti-blasfemia, per la quale era stata condannata a morte un’altra pakistana cristiana. Asia Bibi, di cui Bhatti aveva pubblicamente preso le difese. Solo alcuni esempi…
Di contro, oggi, resta solo un rancore verso i violenti, alimentato da un odio di razza, acuito anche da chi soffia sul fuoco con intendimenti bellicosi. Anche il martirio viene vissuto con sentimenti di rabbia e di vendetta. Il perdono che Gesù ci chiede, non è infingardaggine, non è vigliaccheria, è una presa di coscienza del nostro agire, è un chiedersi che cosa stiamo facendo per diffondere la vera “pace” nel mondo. Il nostro, purtroppo, è un mondo in continua tensione. Si avverte un odio latente diffuso in tutti gli ambienti del nostro vivere. Si calunnia e si ricorre anche alla falsità per alimentare i contrasti.! Il nostro Parlamento talvolta sembra trasformato in un campo di battaglia dove si contano i morti prima di cominciare la guerra. Altri ambienti, in cui si vive giornalmente, non sono da meno. Nelle scuole i genitori sono sempre in assetto di guerra contro gli insegnanti. E che dire della vita nelle famiglie che una politica aberrante fa del tutto per disgregarle? Ecco i Martiri! Facciamoli parlare nei luoghi di ritrovo!.
Leggo dal libro “Gesù” di Klaus Berger un episodio di martirio che dovrebbe farci riflettere. In Algeria, a Tibhirine, sette monaci il 21 maggio 1996 furono decapitati. Nel periodo della prigionia padre Christian de Chergé, prevedendo di essere assassinato, nel suo testamento scrive: “E anche tu, amico dell’ultimo minuto, che certo non sapevi quello che facevi: sì, anche a te è rivolto questo grazie e questo à Dieu, la cui forma ha preso il tuo volto. E possa venirci donato di rivederci come ladroni felici in paradiso, se piace a Dio, che è Padre di tutti e due”. Pietro Pompei
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