M. Chiara Biagioni
(da Mykolaiv) Quando i pulmini della carovana di #StopTheWarNow arrivano, sulla piazza in un quartiere periferico di Mykolaiv, la gente è già lì che aspetta. Fa freddo. Ha appena piovuto. Ma la curiosità è tanta. Ci sono anche alcuni bambini che si arrampicano sulle strutture in ferro di una altalena, per vedere cosa sta accadendo. Tempo qualche decina di minuti e sul lato della piazza, vengono montati microfoni e amplificatori. Cominciano la musica e le canzoni. Per un pomeriggio la città è strappata dal grigiore della guerra e può finalmente riprendersi la sua normalità. L’atmosfera si scalda. La gente comincia a battere le mani, poi via via si balla. La pioggia purtroppo ha reso il terreno viscido e fangoso. Ma oggi, non si pensa a questo. Non si pensa che tutto in città è diventato più difficile. Si sorride poco, anzi pochissimo. Ma questo è un pomeriggio di festa. E mentre la musica continua dal piccolo palco improvvisato, dai pulmini i volontari scaricano i pacchi con gli aiuti umanitari. Le donne, anziane, molte anche con difficoltà motoria, si avvicinano, si mettono ordinatamente in fila, danno il loro nome e si portano via la busta blu piena di pasta, riso, alimenti vari.
“Abbiamo viaggiato un giorno e mezzo e siamo felici oggi di essere qui con voi ”, dice a nome di tutti Ivana Borsotto, presidente della Focsiv, che insieme ad altre 180 movimenti e associazioni aderisce alla Rete di StopTheWarNow. “È un atto di solidarietà assolutamente naturale perché sappiamo che in una situazione uguale e contraria voi lo fareste nei nostri confronti. Siamo qui per dirci che siamo fratelli, siamo vicini. È un atto piccolo e simbolico rispetto alle realtà che rappresentiamo, perché in Italia c’è un pezzo di comunità italiana che vi è vicino, che condanna l’aggressione russa e che sta cercando di lottare per la pace. Stiamo chiedendo alla politica e alle istituzioni di fare azioni diplomatiche perché si trovi la pace. Quando torneremo in Italia continueremo questo nostro impegno, vi porteremo nel cuore”.
La gente ascolta e applaude. Sulla piazza si incrociano tante storie. C’è chi arriva da Kherson dove i russi hanno distrutto tutto ed è impossibile continuare a vivere. “Qui stiamo bene e ci sentiamo al sicuro”, racconta un uomo. A fianco a lui c’è una bimba piccola. La moglie lavora nell’esercito e lui che ha perso il lavoro di portuale, può seguire la figlia. C’è anche la storia di Irina e Nicolaiv, che parlano benissimo in italiano perché sono stati 20 anni a lavorare nel nostro Paese. Due anni fa hanno deciso di tornare a Mykolaiv. Sembrava la giusta ricompensa dopo una vita di sacrifici. Ma poi è scoppiata la guerra e il 6 marzo dello scorso anno, hanno di nuovo percorso la strada verso l’Italia, raggiungendo la figlia a Lecco. Da settembre sono di nuovo qui. “Noi andiamo avanti bene – racconta Irina – perché abbiamo la pensione ma qui manca il lavoro, gli uomini sono andati via e le donne sono rimaste sole con i bambini. Non so come riescono a vivere. Manca cibo. Manca l’acqua. Le scuole ancora non hanno riaperto”. La gente si aspetta che vengono ricostruite al più presto almeno l’Università, colpita dai missili, le scuole danneggiate dalle bombe e gli asili. È la speranza che la vita possa riprendere di nuovo. Ma che clima si respira in città? “Siamo arrabbiati”, risponde la donna. “Io parlo russo. Prima della guerra eravamo due popoli fratelli. Non riusciamo ancora a capire perché i russi ci hanno fatto questo. Abbiamo ascoltato le storie di persone che vivevano a Bucha e a Izyum. Ci hanno raccontato cosa hanno visto. Hanno trovato nelle fosse comuni gente con le mani legate dietro. I russi hanno ucciso, violentato donne e bambini. C’è tanta rabbia per questo”.
La missione di StopTheWarNow si riassume in questa piazza: fraternità e aiuto umanitario, condivisione e vicinanza ai dolori e alle difficoltà di questo popolo. “È – spiega Giulio Boschi del Movimento dei Focolari Italia che aderisce all’iniziativa – portare speranza contro ogni speranza andando sul crinale apocalittico della storia. Abitare il conflitto per stare vicino a queste persone che subiscono i danni di questa guerra senza poter fare nulla. Speranza e solidarietà sono la merce più importante che abbiamo caricato sui nostri pulmini. La speranza che si possano avviare dialoghi di negoziato e di pace e avviare una tregua che è assolutamente e indispensabile per evitare che questo conflitto si sclerotizzi e si espanda. È sbagliato dire: non posso farci niente. Tanti purtroppo cadono in questo tranello. E invece no, posiamo fare tanto. È quella goccia nel mare che se non la mettiamo noi, nel mare manca. Non volgiamo essere indifferenti e vogliamo mettere la nostra voce nel coro. La cosa bella di questa Rete è che è una realtà corale, un insieme di tante associazioni. Non è la voce di uno solo ma una voce cerca di esprimere questo sentire della società civile. Credo sia fondamentale che la pace diventi una cultura, perché viceversa rischia di diventare un appello che si perde nel vuoto”.