Giovanna Pasqualin Traversa
“Le nuove generazioni crescono in una società ‘narcisista’, caratterizzata dal bisogno di identificarsi con modelli di riferimento irraggiungibili che espongono al timore di non essere adeguati, di non essere apprezzati e riconosciuti perché non all’altezza delle aspettative altrui”. Lo dice al Sir Mara Bruno, responsabile con Michela De Luca dell’Area età evolutiva dell’ Itci (Istituto di terapia cognitivo interpersonale) di Roma, commentando l’aumento della fuga degli studenti dai licei, anche ad anno in corso. Da Milano l’ultimo allarme: i trasferimenti dall’antico liceo classico Berchet sono stati 56 da settembre ad oggi. In tutto lo scorso anno scolastico se ne erano registrati 50. Ma analoghe richieste di aiuto arrivano anche da Genova e Bologna. Oltre la metà dei ragazzi si dice stressato e ansioso a causa della pressione esercitata dagli insegnanti. Sul banco degli “imputati”, a loro dire, un sistema che punta troppo sul merito.
Dottoressa, che cosa si nasconde dietro questa “fuga”?
Il raggiungimento del successo e l’approvazione diventano i temi centrali della nostra società; per questo i ragazzi crescono disorientati e fragili, con un diffuso stato d’ansia, mai pienamente soddisfatti di sé; alcuni alla continua ricerca di esposizione sui social, altri nascosti e trincerati in loro stessi, isolati dal mondo. La società attuale è permeata da un’atmosfera di incertezza nel presente e nel futuro: prende sempre più forma la cultura del “tutto e subito”. Cercare la gratificazione nell’istante senza un progetto di attesa e costruzione degli obiettivi:
vi è la rinuncia a desiderare se ciò significa attendere.
In questo scenario i nostri ragazzi non imparano a riflettere, non sono educati all’attesa, all’impegno e allo sforzo, diventano fragili, smarriti e intolleranti alla frustrazione.
Il merito, inteso come sano impegno nello studio per ottenere riconoscimenti e conseguire buoni risultati, sta diventando un disvalore?
Dagli errori si impara: oggi invece ottenere un giudizio negativo a scuola è percepito dagli studenti come un fallimento completo della propria persona, un’intollerabile frustrazione. In questo scenario, in cui il giudizio che l’altro ha di noi stessi e l’immagine che inviamo all’altro risulta più importante di quello che siamo, il voto diventa un’etichetta indicativa del valore di una persona. Sempre più ragazzi soffrono di “ansia da prestazione” e il timore del fallimento è direttamente correlato al giudizio dell’altro. Per gli studenti, il possibile fallimento della prova può determinare livelli di frustrazione intollerabili e una minaccia alla propria autostima.
Poi ci sono le attese dei genitori…
Per molti di loro avere figli brillanti è una priorità, ma i figli devono sentirsi amati anche, e soprattutto, quando compiono azioni imperfette, come il prendere un brutto voto.
E’ necessario insegnare ai nostri ragazzi il valore dell’impegno piuttosto che soffermarsi sul voto preso.
Forse c’è anche la scelta di un corso di studi non adatto alle proprie inclinazioni?
Nella nostra società disorientante i giovani sono inconsapevoli del loro “io reale” (chi sono, punti di forza e fragilità), e troppo orientati a soddisfare le aspettative provenienti dalla società dell’immagine, sbilanciandosi sulla definizione di un “io ideale” (chi vorrei essere). Ne consegue che appaiono poco abituati a delineare le proprie passioni e a investire sul futuro a lungo termine. Questo non aiuta gli adolescenti, e neppure i genitori, a sostenere una scelta di percorso di studi adeguata al proprio sé.
Negli ultimi due anni è raddoppiata la richiesta di aiuto psicologico e proprio in questi giorni è stato rilanciato l’allarme boom psicofarmaci negli adolescenti…
Purtroppo assistiamo ad
un aumento esponenziale di diagnosi di fobia scolare:
si tratta di una paura irrazionale e non controllabile, di andare e/o restare a scuola. Nella mia esperienza di psicoterapeuta incontro diversi casi di fobia scolare, fenomeno in crescita per il quale le famiglie chiedono un intervento psicoterapeutico. La nostra società pone molta attenzione alla competitività e al successo; gli adolescenti che hanno paura del fallimento e temono la vergogna per gli insuccessi scolastici, scelgono di evitare situazioni di confronto con i pari, preferiscono nascondersi, isolarsi,
mettendo inconsapevolmente in atto una vera e propria rinuncia sociale.
Oltretutto l’epoca in cui viviamo fornisce strumenti per rendere questa fuga tollerabile: cellulari, computer e videogiochi aiutano l’adolescente a restare chiuso in casa e a vincere la noia pur non interagendo realmente con gli altri.
Che cosa si sente di dire ad un insegnante di fronte ad alunno che vuole abbandonare?
Il compito degli insegnanti, nella scuola post pandemica, è particolarmente complicato. Si richiede loro di svolgere programmi didattici complessi e, al tempo stesso, di essere sintonizzati sui bisogni individuali degli studenti.E’ fondamentale per il docente intercettare il bisogno emotivo dello studente, ponendo l’emotività e l’affettività in primo piano anche rispetto alla didattica. I ragazzi hanno bisogno di sentire che l’adulto si interessa a loro come persone prima che al loro rendimento, hanno bisogno di sentirsi “visti” dall’ altro “significativo”.
Questo atteggiamento empatico dell’insegnante diventa un punto di forza nella relazione con lo studente e crea ottime opportunità di dialogo e supporto per il ragazzo.
E ai genitori che cosa vuole dire?
Messi a dura prova da queste situazioni di disagio, c’è chi asseconda il figlio o chi tenta la via della costrizione. L’atteggiamento sano è una sorta di sintonizzazione emotiva con il ragazzo, mantenendo il più possibile un dialogo aperto e spontaneo, senza pressioni e insistenze, evitando di soffermarsi solo su apprendimento e rendimento scolastico.
E’ necessario che i genitori si pongano in un ruolo di guida, che siano affettivi e, soprattutto, educanti.
Critiche, giudizi e paragoni vanno evitati perché accentuerebbero le fragilità dei figli. Creare inoltre una buona rete con gli insegnanti, aiutando lo studente a sentirsi sostenuto e incoraggiato, rappresenta un’efficace strategia di supporto.
Come vede lo psicologo a scuola?
In questo momento di disorientamento ed emergenza educativa lo psicologo a scuola fornisce un’opportunità per contenere i disagi causati dalle fragilità della società tecnoliquida postpandemica. Si tratterebbe di una figura altamente specializzata, capace di rispondere alle richieste del singolo e della comunità, che potrebbe favorire il benessere di tutti gli attori del contesto scolastico. Nello specifico si potrebbe porre come utile supporto per i docenti, sempre più impegnati nella didattica e nel contenimento del disagio psicologico degli alunni, con il rischio di sviluppare la sindrome di burnout. Aiutare le figure educative nel grande sforzo che affrontano quotidianamente significa aiutare i nostri ragazzi e prevenire il disagio di molti. Infine, lo psicologo offrirebbe uno spazio di dialogo individuale per gli alunni e si potrebbe porre in una posizione di mediatore – spesso necessaria – tra famiglia ed insegnanti.