M.Michela Nicolais
“Senza lo Spirito del Signore non c’è vita cristiana e, senza la sua unzione, non c’è santità”. Lo ha ribadito Papa Francesco, nell’omelia della Messa del Crisma, che segna l’inizio del Triduo pasquale ed è tradizionalmente il momento in cui si rinnovano le promesse sacerdotali. “In questo momento sto facendo memoria di alcuni di voi che sono in crisi, disorientati e che non sanno come riprendere la strada in questa seconda unzione dello Spirito”, ha rivelato a braccio il Papa: “Questi fratelli io li ho presenti, semplicemente dico loro: coraggio, il Signore è più grande delle tue debolezze, dei tuoi peccati. Affidati al Signore, questa volta con l’unzione dello Spirito Santo, e lasciati chiamare una seconda volta. La doppia vita non ti aiuterà, buttare tutto dalla finestra nemmeno. Guarda avanti, lasciati accarezzare dall’unzione dello Spirito Santo”.
“Quando diventiamo strumenti di divisione pecchiamo contro lo spirito; e si fa il gioco del nemico, che non viene allo scoperto e ama le dicerie e le insinuazioni, fomenta partiti e cordate, alimenta la nostalgia del passato, la sfiducia, il pessimismo, la paura”,
il monito di Francesco: “Stiamo attenti, per favore, a non sporcare l’unzione dello Spirito e la veste della Madre Chiesa con la disunione, con le polarizzazioni, con ogni mancanza di carità e di comunione. Ricordiamo che lo Spirito, ‘il noi di Dio’, predilige la forma comunitaria, cioè la disponibilità rispetto alle proprie esigenze, l’obbedienza rispetto ai propri gusti, l’umiltà rispetto alle proprie pretese”. La prima unzione, per gli apostoli come per i sacerdoti, è la chiamata del Signore; la seconda unzione è simile a quella che, a Pentecoste, in un momento di profonda crisi trasforma in pastori del gregge di Dio: “Fu quell’unzione di fuoco a estinguere la loro religiosità centrata su sé stessi e sulle proprie capacità: accolto lo Spirito, evaporano le paure e i tentennamenti di Pietro; Giacomo e Giovanni, bruciati dal desiderio di dare la vita, smettono di inseguire posti d’onore; gli altri non stanno più chiusi e timorosi nel Cenacolo, ma escono e diventano apostoli nel mondo”.
“A tutti, prima o poi, succede di sperimentare delusioni, fatiche e debolezze, con l’ideale che sembra usurarsi fra le esigenze del reale, mentre subentra una certa abitudinarietà e alcune prove, prima difficili da immaginare, fanno apparire la fedeltà più scomoda rispetto a un tempo”,
l’analisi del Papa, secondo il quale “questa tappa rappresenta un crinale decisivo per chi ha ricevuto l’unzione”: “Si può uscirne male, planando verso una certa mediocrità, trascinandosi stanchi in una ‘normalità’ dove si insinuano tre tentazioni pericolose: quella del compromesso, per cui ci si accontenta di ciò che si può fare; quella dei surrogati, per cui si tenta di ‘ricaricarsi’ con altro rispetto alla nostra unzione; quella dello scoraggiamento, per cui, scontenti, si va avanti per inerzia”. “Ed ecco il grande rischio”, il grido d’allarme di Francesco: “mentre restano intatte le apparenze – io sono sacerdote, io sono prete – ci si ripiega su di sé e si tira a campare svogliati; la fragranza dell’unzione non profuma più la vita e il cuore non si dilata ma si restringe, avvolto nel disincanto”. “Ma questa crisi può diventare anche la svolta del sacerdozio”, se si ha la capacità di “ammettere la verità della propria debolezza”.
“Il nostro sacerdozio non cresce per rammendo, ma per traboccamento!”,
ha esclamato il Papa. “Ogni doppiezza – la doppiezza clericale – che si insinua è pericolosa”, la denuncia: “non va tollerata, ma portata alla luce dello Spirito. Perché lo Spirito Santo, lui solo, ci guarisce dalle infedeltà. È per noi una lotta irrinunciabile: “Invocare lo Spirito sia non una pratica saltuaria, ma il respiro di ogni giorno”, l’invito, insieme a quello a “combattere le falsità che si agitano in noi”. “Portare armonia dove non c’è”, la consegna finale. “Costruire l’armonia tra noi non è tanto un buon metodo affinché la compagine ecclesiale proceda meglio, non è ballare un minuetto, non è questione di strategia o di cortesia”, ha puntualizzato Francesco:
“Stiamo attenti, per favore, a non sporcare l’unzione dello Spirito e la veste della Madre Chiesa con la disunione, con le polarizzazioni, con ogni mancanza di carità e di comunione.
Aiutiamoci, fratelli, a custodire l’armonia, cominciando non dagli altri, ma ciascuno da sé stesso. Chiedendoci: nelle mie parole, nei miei commenti, in quello che dico e scrivo c’è il timbro dello Spirito o quello del mondo? Penso anche alla gentilezza del sacerdote: tante volte noi preti siamo dei maleducati!”.Se la gente trova persino in noi persone insoddisfatte, scontente, zitelloni che criticano e puntano il dito, dove vedrà l’armonia?”, si è chiesto Francesco. “Quanti non si avvicinano o si allontanano perché nella Chiesa non si sentono accolti e amati, ma guardati con sospetto e giudicati!”,
ha esclamato il Papa: “In nome di Dio, accogliamo e perdoniamo, sempre! E ricordiamo che l’essere spigolosi e lamentosi, oltre a non produrre nulla di buono, corrompe l’annuncio, perché contro-testimonia Dio, che è comunione e armonia”. “Grazie per la vostra testimonianza e per il vostro servizio”, l’omaggio finale ai sacerdoti: “grazie per tanto bene nascosto che fate, grazie per il perdono e la consolazione che regalate in nome di Dio: perdonare sempre, per favore, mai negare il perdono! Grazie per il vostro ministero, che spesso si svolge tra tante fatiche e pochi riconoscimenti”. Alla fine della cerimonia il Papa ha donato a tutti i sacerdoti presenti uno scritto di padre René Voillaume, dei Piccoli Fratelli di Gesù dal titolo: “La seconda chiamata”.