DIOCESI – È stato un bel momento di comunione fraterna di tutto il clero diocesano quello vissuto ieri, giovedì 6 aprile, alle ore 10:30, presso la Cattedrale Santa Maria della Marina di San Benedetto del Tronto, dove i sacerdoti e i diaconi della Diocesi si sono riuniti intorno al vescovo Carlo Bresciani in occasione della Santa Messa del Crisma. Durante la celebrazione sono state rinnovate le promesse sacerdotali da parte dei preti presenti e sono stati consacrati dal vescovo gli Oli Santi, ovvero l’Olio dei Catecumeni, l’Olio degli Infermi e il Crisma.
Queste le parole di Bresciani durante l’omelia: “Carissimi sacerdoti e diaconi, stiamo celebrando una giornata a noi molto cara. Ci riporta a quel giorno in cui nostro Signore Gesù ci ha affidato il suo corpo e il suo sangue, e con essi la Chiesa. In pratica, si tratta del compito di continuare la sua missione nel mondo, ovviamente non da soli, ma con la sua grazia e la sua continua presenza di Risorto tra noi. Si tratta di un giorno in cui siamo chiamati a rimeditare il nostro essere presbiteri all’interno di quel presbiterio nel quale siamo stati ordinati, cioè aggregati ad esso per il servizio alla Chiesa. Siamo qui, infatti, come presbiterio unito attorno a me vescovo: è uno dei momenti principali in cui si manifesta visibilmente il nostro essere Chiesa, convocati da Gesù e, insieme, attorno a lui.
Dicevo, giorno in cui rimeditare ancora una volta il nostro essere presbiteri, il nostro modo di essere presbiteri, di accogliere e mettere al centro il mandato di Gesù come elemento fondamentale della nostra vita spirituale di presbiteri e della nostra missione nel mondo di oggi, missione che Gesù ci affida ancora una volta manifestando la sua grande fiducia in ciascuno di noi. La nostra esistenza presbiterale, come ogni esistenza cristiana (sia pure nella diversità delle vocazioni), ha il suo fondamento nella vocazione che ci è stata donata e che abbiamo accolto e abbracciato con un generoso sì, per qualcuno di noi in tempi recenti, per altri in tempi lontani. Un sì non a Uno che poi si è allontanato e ci ha lasciato soli, ma a Uno che è rimasto ed è ancora con noi: Gesù.
Tutta la nostra esistenza presbiterale parte da lì e deve sempre tornare lì: al nostro personale rapporto con Gesù, al nostro amore per lui. Chiediamoci: che ne è di questo rapporto nella mia vita? Forse la polvere del tempo, una certa trascuratezza e le difficoltà incontrate lo hanno raffreddato e, Dio non voglia (cosa purtroppo possibile), spento? Come mi lascio guidare dalla sua parola che mi manda nel mondo fino a donare la vita per continuare la sua missione di amore per tutti?
Oggi anche noi siamo un po’ come gli apostoli seduti a mensa con lui, in ascolto delle sue parole e, come gli apostoli, ancora con una certa fatica a comprenderle fino in fondo. Come loro, anche noi le comprenderemo sempre meglio solo se via via le viviamo coerentemente nella vita di ogni giorno. Come loro le comprenderemo sempre meglio affrontando la croce che non mancherà mai (non ci ha promesso che ci sarebbe stata risparmiata, non ci ha promesso che ci avrebbe tolto dal mondo) rimanendo nell’amore, come lui è rimasto nell’amore. Rimanere nell’amore non è solo, come ben sappiamo, ricevere il suo amore, ma rimanere nell’amare anche di fronte al Giuda di turno o di fronte a un mondo che non brilla certo per capacità di rispondere all’amore con l’amore. Si tratta di restare in un amore che non è privo del sapore della sofferenza, quella che come presbiteri proviamo nell’amore verso la Chiesa e quindi verso i fedeli che ne fanno parte. Molto simile, quindi, all’amore sofferto e sofferente di Gesù che la settimana santa ci mette davanti agli occhi per la nostra meditazione.
Siamo chiamati ad essere segno dell’amore di Cristo in un mondo che non ama. Chiediamoci: come siamo segno dell’amore di Cristo non solo verso i fratelli, ma verso chi non ci ama, o abbiamo l’impressione che non ci ami? Come è stato per Gesù, anche noi non siamo stati mandati ad amare solo chi ci ama, se così fosse la missione di Gesù nel mondo, e la nostra con lui, sarebbe incomprensibile, e, francamente, inutile.
Carissimi, qui incontriamo la sfida più formidabile del nostro essere presbiteri: amare come Gesù ama, amare la Chiesa come lui la ama, amare il mondo come lui lo ama. Questo non è solo un dovere o un modo di vivere sacrificalmente la vita, quasi una diminuzione di essa: no, è la strada per una autentica pienezza di vita, per l’unica pienezza di vita possibile. Se così non fosse, diciamo cose inutili o vuote di senso quando diciamo di credere che Gesù è l’uomo perfetto. In che senso pensiamo che Gesù sia l’uomo perfetto? È possibile pensarlo così eliminando dalla sua vita l’amore che l’ha innervata con fedeltà assoluta fino alla morte per fedeltà all’amore? È possibile pensarlo uomo perfetto, eliminando il modo in cui ha accettato e affrontato la croce per amore? Schiettamente no!
E allora carissimi, ne viene una domanda: come viviamo noi l’amore di Cristo per la Chiesa? Qui c’è la vera radice della nostra spiritualità sacerdotale. Qui la fonte del nostro ministero, qui la sorgente del nostro essere presbiterio a servizio della nostra Chiesa diocesana.
Nella teologia, che qualcuno oggi ritiene vecchia e superata, e lo è se la si capisce male, si diceva che il sacerdote è alter Christus. A me pare che, se si interpreta questa espressione non solo riferita all’amministrazione dei sacramenti, intendendo che in essi è Cristo che agisce attraverso di noi, ma nel fatto che siamo chiamati a rendere presente l’amore di Cristo nel mondo, quella espressione abbia ancora un qualche senso. In virtù dell’ordinazione siamo chiamati ad essere segno sacramentale dell’amore di Gesù per il suo corpo che è la Chiesa, camminando “nella carità, nel modo in cui anche Cristo ci ha amato e ha dato se stesso per noi” (Ef 5, 2). D’altra parte è proprio nell’ultima cena che Gesù lascia questo mandato ai suoi: “amatevi come io vi ho amato”. Un amore che partendo dagli apostoli, si riversa in tutto il mondo e si è manifestato nel modo in cui hanno accettato di essere portatori di questo amore, anche di fronte alle persecuzioni, senza abbandonare il campo per le difficoltà che ciò comportava.
Carissimi, o siamo riflesso dell’amore di Cristo, o siamo cembali suonanti che nessuno vuole più ascoltare. Sappiamo bene quanto tutto ciò ci faccia sentire piccoli e traboccanti di debolezza, pieni di timore e tremore. Sappiamo che non possiamo presumere affatto di noi stessi. Ma la nostra spiritualità presbiterale non si fonda sulle nostre forze, abbandoneremmo il campo subito, ma sull’amore con il quale siamo amati da Gesù. Poiché siamo amati da Gesù, e più ci sentiamo da lui amati, più abbiamo la forza di donare amore, in comunione con lui che dona amore anche di fronte alla croce.
Il nostro fare, il nostro stesso ministero o è animato da questo amore per Gesù e per la Chiesa, oppure si trasforma e rischia di diventare un trafficare carico di una pesantezza insopportabile; rischia di farci sentire sempre fuori posto, sempre insoddisfatti e malcontenti, qualunque sia il nostro fare o il luogo in cui siamo chiamati ad esercitare il ministero.
Siamo consapevoli che oggi il nostro ministero si trova di fronte a grandi cambiamenti nella società e nella cultura. Siamo consapevoli che le forme del ministero, forme attraverso le quali l’amore di Dio veniva trasmesso, oggi fanno fatica ad essere comprese dai nostri contemporanei. Ma c’è una lingua che tutti i popoli ancora comprendono e desiderano ascoltare: la lingua di un amore vero e sincero, di quell’amore che ha le caratteristiche dell’amore di Gesù e che san Paolo sintetizza molto bene indicandone le qualità nel suo inno all’amore/carità di 1 Cor (13, 4-7).
Carissimi, proviamo ad esaminare il nostro amore di presbiteri su queste caratteristiche che San Paolo indica ai suoi fedeli di Corinto: troviamo qui le chiare tracce di un sicuro cammino spirituale di conformazione a Gesù da cui deve partire ogni ministero, troviamo qui il fondamento di quella carità pastorale alla quale si nutre la nostra spiritualità presbiterale.
È vero, e viene ripetuto spesso, che oggi siamo di fronte a un cambiamento d’epoca: ci coinvolge e ci scombussola come persone e come Chiesa. Talora abbiamo l’impressione di essere su una fragile barca in mezzo a un mare in piena tempesta che getta acqua (ahimè, per di più talora non troppo pulita) dentro la traballante barca della Chiesa stessa e ci domandiamo dove voglia portarci Gesù. La nostra fede in lui è messa alla prova: siamo chiamati alla fedeltà dei tempi difficili che mette alla prova l’autenticità del nostro amore per Gesù e per la Chiesa. Non siamo chiamati a salire sul carro dell’apparente e ingannevole vincitore di turno, siamo chiamati a metterci dietro a Gesù che sale a Gerusalemme. È questo, infatti, quello che Gesù dice a Pietro, quando egli lo vuole distogliere dalla fedeltà al cammino verso Gerusalemme che egli deve compiere (cfr. Mt 16, 23).
Durante la visita pastorale, incontrandovi nelle vostre parrocchie e condividendo più che in altre occasioni la vostra attività ministeriale, ho avuto modo di riflettere sulla vita spirituale del presbitero oggi. Mi è apparso evidente il rischio della dispersione che oggi si presenta forse più fortemente che nel passato, non tanto per attività dubbie od eccessive, ma per il rischio della perdita del centro da cui tutto deve partire.
Carissimi, dobbiamo chiederci sempre meno quali risultati abbiamo ottenuto con questa o quella attività, ma come abbiamo saputo amare e portare la croce insieme a Gesù in questa o in quella situazione, in questa o in quella attività ministeriale. La fecondità non viene dal fare molto (per quanto sia necessario e dal quale non ci possiamo mai sottrarre), ma dall’amore che mettiamo in quello che facciamo con le deboli forze che abbiamo.
Riuniti attorno a Gesù in questo giovedì santo, ora con convinzione e con profonda fede rinnoviamo, attraverso le promesse che abbiamo fatto il giorno della nostra ordinazione presbiterale, il nostro sì d’amore a lui e alla Chiesa”.
Al termine della celebrazione, come è ormai consuetudine da diversi anni, il vescovo Bresciani ha ricordato i sacerdoti della Diocesi che festeggiano un particolare anniversario di ordinazione presbiterale durante l’anno 2023: per il 10° anniversario don Gianni Capriotti, don Giuseppe Giudici, don Roberto Traini, don Matteo Calvaresi e padre Michele Masaccio; per il 20° anniversario don Vincent Ifeme, don Roberto Melone e don Dino Straccia; per il 25° anniversario don Claudio Marchetti e don Dino Pirri; per il 50° anniversario padre Silvano Nicoli e padre Nazareno Rapetta; per il 60° anniversario padre Giuliano Del Medico; per il 65° anniversario padre Domenico Pompei. Il vescovo Carlo ha infine ricordato anche i sacerdoti che non hanno potuto partecipare alla Messa, ma che sono comunque spiritualmente uniti a lui e al resto del clero diocesano.