DIOCESI – È iniziata con la preghiera silenziosa di tutta l’assemblea la solenne azione liturgica del Venerdì Santo che si è svolta alle ore 15:00 del 7 aprile 2023 presso la Cattedrale Santa Maria della Marina in San Benedetto del Tronto. Alla celebrazione, presieduta dal vescovo Carlo Bresciani, erano presenti anche il vicario generale don Patrizio Spina e i sacerdoti don Luciano Paci e don Romualdo Scarponi.
Il lungo racconto della Passione di Cristo è stato affidato ai tre diaconi presenti, Walter Gandolfi, Emanuele Imbrescia e Pietro Mazzocchi, i quali, attraverso le parole del Vangelo di Giovanni, hanno ripercorso le principali tappe della sofferenza patita da Gesù, iniziata con il suo arresto, proseguita con la sua condanna e terminata con la sua flagellazione e morte.
Queste le parole del vescovo Bresciani durante l’omelia: “Oggi e domani sono i due giorni più tristi per la fede nella storia della Chiesa e di quella dell’umanità intera. Cosa c’è di più triste della condanna a morte di un innocente e per di più di colui che crediamo essere il Figlio di Dio e con la brutalità della crocifissione? Non a caso il sabato santo resta muto, letteralmente senza parole di fronte alla morte. Perfino la liturgia tace. Cosa c’è di più triste per un fedele che mettersi di fronte alla croce sulla quale Gesù è stato crocifisso? Penso che fosse senz’altro lo stupore addolorato degli stessi discepoli, due dei quali allontanandosi da Gerusalemme, confessano: ‘noi speravamo’ in lui (cfr. Mt 24, 21). Di fronte al mistero della morte si infrangono tutte le speranze umane, tutte appaiono senza possibilità di realizzazione.
Eppure non possiamo non metterci di fronte alla croce di Gesù, prima di tutto, perché fa parte della verità e la verità non va mai nascosta o negata. In secondo luogo, perché in quella croce e in quella morte si riassume il dramma eterno dell’umanità che geme ed è ferita profondamente dal male e dalla cattiveria che attraversa profondamente il cuore dell’essere umano. Al di là delle tante chiacchiere che riempiono una moltitudine di libri e creano illusioni, il vero problema umano è da sempre uno solo: quale risposta dare al male, alla cattiveria, all’odio che abita nel cuore dell’uomo, cattiveria che ha una sua manifestazione estrema nella morte data all’innocente? Nella morte fisica, come in quella di Gesù, o in quella che il male e la cattiveria provocano sempre in qualcuno.
Rispondere al male con il male, all’odio con l’odio, alla cattiveria con la cattiveria, non fa altro che prolungare ed espandere la catena del male stesso e, quindi, della morte. Non è modo per rimediare alla morte, ma una sua progressiva dilatazione.
D’altra parte, il male ‘fa male’, sempre! Fa male certamente, quando lo subiamo in prima persona e fa male quando vediamo che lo subisce una persona che ci è cara e che amiamo, ma fa male anche vederlo operato su altri, se almeno ci è rimasto un minimo di sensibilità, un minimo di umanità.
Gesù non è uno che si sottrae al confronto con il male, non si sottrae nemmeno alla morte ingiusta. Lo fa non dal punto di vista teorico, non si limita teorie o bei ragionamenti. Si trova a doverlo subire sulla sua pelle fino all’estremo della sua drammaticità e della sua crudeltà, come è drammatica e crudele la croce che oggi meditiamo mettendola al centro della nostra azione liturgica.
Quale è la risposta alla nostra domanda sul male e sulla morte che nella croce e dalla croce Gesù ci dà?
Egli certamente subisce quel male crudele, ma ciò che appare in tutta la sua grandezza è il fatto che non lo subisce passivamente, rassegnato in modo quasi fatalistico, ma neppure reagisce in modo aggressivo, colmo di rancore o di odio verso coloro che attuano quell’ingiusta condanna a morte. Si sono certamente impossessati del suo corpo e lo hanno martoriato fino alla certezza della sua morte verificata con una lancia che ha trafitto il suo cuore, ma non sono riusciti a impossessarsi del suo animo, il quale non ha ceduto resistendo alla tentazione di lasciarsi invadere da reazioni di rancore o di odio. Egli resta interiormente libero di fronte a tanta cattiveria e arriva perfino a pronunciare parole che segnano la totale sconfitta della forza del male su di lui: parole di perdono e non di condanna.
Qui io vedo la grandezza infinita di quella croce, che non sta tanto nel dolore e nella sofferenza di colui che vi è appeso (dolore e sofferenza sono assolutamente veri, ovviamente). La sua grandezza sta in quella eccezionale forza divina che si manifesta superando ogni male con la parola salvifica del perdono: subisce perdonando, non subisce soltanto!
Qui sta la sconfitta di chi voleva sconfiggere lui con la morte. Quelle parole di perdono sono un lampo di luce abbagliante che sconfigge ogni male e che lo riscatta dalla morte. In quelle parole di perdono si manifesta la grandezza divina di Gesù e l’impotenza del male su di lui. Si manifesta l’infinito amore di Dio che niente e nessuno può sconfiggere. Giustamente lo capisce il centurione che esclama: ‘Davvero costui era Figlio di Dio!’ (Mt 27, 54) e la tradizione dice che il soldato, che gli aprì il costato con una lancia, di fronte a una siffatta morte si convertì.
Per questo la croce è segno reale dell’amore infinito di Dio che si è fatto carne. Nell’estrema umiliazione della carne di Gesù sulla croce si manifesta la grandezza dell’amore di Dio che perdona: Gesù è l’amore di Dio che si è fatto carne e dalla croce, con la forza del suo amore, vince il male e il peccato. Nell’estrema oscurità della morte, una luce di vita nuova squarcia le tenebre del male e del peccato: è la luce divina dell’amore che perdona, fonte unica di ogni nostra speranza.
Tra poco baceremo quel corpo steso sulla croce nell’abbandono della morte. Chiediamogli che un raggio di quella luce divina entri anche nel nostro cuore in modo tale che con lui anche noi sappiamo vincere con la forza del suo amore il male e il peccato che sempre ci minaccia. Possiamo vincerlo attraverso il perdono ricevuto da lui e da noi donato agli altri. ”
Subito dopo l’omelia, il diacono Walter ha introdotto le intenzioni della Preghiera Universale, concluse ciascuna con l’orazione del vescovo Carlo. I fedeli presenti hanno pregato prima per la Santa Chiesa, per papa Francesco, per il vescovo Carlo, per i sacerdoti, i diaconi; poi per i catecumeni e per l’unità dei cristiani; per gli Ebrei, per coloro che non credono in Cristo e per coloro che non credono in Dio; infine per i governanti, per coloro che soffrono a causa della guerra e per tutti coloro che vivono un momento di prova.
La celebrazione è proseguita poi con l’adorazione della Croce che è stata esposta dal diacono Pietro sui gradini dell’altare per il bacio da parte dei fedeli. Particolarmente commovente è stato il gesto di un fedele che, non potendo chinarsi per baciare la croce, l’ha abbracciata. Spesso l’animo umano cerca di allontanare o addirittura rifiutare il dolore, la sofferenza, la croce che la vita gli riserva; quel gesto, invece, ha ricordato a ciascun fedele presente che anche noi, come Gesù, siamo chiamati ad accogliere, ad abbracciare la nostra croce. Dopo i riti di Comunione, la croce è stata posta sopra l’altare maggiore, l’altare delle reposizione è stato dismesso e le ostie rimaste, come consuetudine, sono state messe nel tabernacolo.
Al termine della celebrazione, alcuni fedeli, tra cui anche il vescovo Carlo, si sono trattenuti in Chiesa per adorare la croce e pregare, in ginocchio, davanti ad essa.