Marco Testi
In Destini erranti. La spada delle anime, recente opera di Daniele D’Angelo, i personaggi sembrano ripercorrere l’inesauribile percorso tolkeniano e quello del fantasy neo-gotico con sfumature e accenti particolari. Il racconto del giovane autore romano, (Youcanprint, 330 pagine, 19 euro) da una parte ripresenta, seppur con accenti diversi, armi con poteri sovrannaturali, descrizioni di battaglie e di duelli, magari da sfoltire leggermente, dall’altra, ad un certo punto del racconto, intraprende una strada propria che sembra allontanarsi dal modello tradizionale. La narrazione, infatti, lascia trapelare elementi di una storia scritta, con il senno del poi, da sedicenti pacificatori dopo anni di massacri, congiure, colpi di stato.
Ed è qui emerge intanto la dimensione di un popolo, quello dei Krul, per secoli vessato dagli umani ma che, in un determinato momento, facendo leva sulla stanchezza degli antichi padroni, comincia ad occupare gradualmente il proprio territorio trasformandosi a sua volta in invasore e tiranno.
In Destini erranti si intravedono gli elementi storici – e psicologici – del raggiungimento dell’apice del potere, come quello dell’impero romano, a danno di popoli conquistati e sottoposti a razzie e distruzioni, ma anche i segni e le ricadute di una crisi scaturita dal benessere annoiato che ha dimenticato le origini e non desidera più confrontarsi con la sobrietà e il sacrificio.
La storia lascia così spazio a quel processo di cambiamento capace (a volte) di modificare, nella sostanza, la vita e il destino dei popoli che, come i Krul, da conquistati diventano conquistatori, da vittime mutano in carnefici, da erranti si pongono come i nuovi signori del continente.
Ma accanto a questa consapevolezza delle “vichiane” vicende di nascita, gloria e decadenza delle grandi compagini storiche, appare anche l’emergere dei “pacificatori” che alleandosi, ora con uno ora con l’altro, perseguono in realtà il fine ultimo di unire i popoli sotto un unico tallone di ferro, sotto il quale sopprimono quelle libertà che, durante le grandi crisi nelle quali mancano le elementari basi di sussistenza come il cibo e la pace sociale, appaiono inutili, se non dannose.
Leggendo del piano del principe e del suo desiderio di allearsi all’occorrenza, con gli umani o i Krul, per raggiungere l’“unione” dei popoli – un tempo nemici – e la “pace”, non si può non riflettere sulle follie di coloro che non hanno avuto remore nell’usare inganni e violenze inganni, unite al desiderio di stringere alleanze tattiche, pronte ad essere tradite al primo soffio di vento. In sostanza una rievocazione di quanto fecero gli Stalin e gli Hitler dello sciagurato patto sovietico-tedesco, tanto per fare un esempio, alla vigilia della seconda guerra mondiale.
Un secondo elemento di interesse del racconto è rappresentato dalla complessità dei personaggi. A cominciare dal riflessivo Dajanar e dall’impulsivo Maxian, che, pur di liberare i propri simili, attraversano i venti della resistenza o dell’indifferenza, della scelta cruenta e rischiosa del sangue e della derisione che ne nascerà in seguito. Scelta che risulterà dannosa e controproducente. Sono loro i protagonisti della storia. I due cammineranno sempre insieme, a partire dall’adolescenza che vivono all’interno di una “riserva” umana – per poi perdersi di vista nelle vicende legate alla ricerca delle origini – fino a situazioni di pieno coinvolgimento tra le file dello stesso esercito sceso in battaglia per riprendersi le terre occupate dai nuovi barbari.
Una vicenda apparentemente dualistica – rappresentata dallo scontro tra umani e non – ma che al contrario rivela le ombre dei compromessi, delle ossessioni del potere e della vendetta, dei progetti lucidi che passano sopra i corpi di migliaia di vittime, della ricerca di radici perdute.
Un testo adatto soprattutto ai giovani, a chi vuole fare i conti con l’eredità del romance post tolkeniano ai giorni nostri e a chi, ancora oggi, cerca nel fantasy legami con la nostra storia.