Di Pietro Pompei

SAN BENEDETTO DEL TRONTO – A ben vedere la vita su questa terra si svolge in tre modi diversi. La forma più numerosa ed appariscente si manifesta sopra la crosta terrestre con quel miscuglio di vegetali ed animali al vertice del quale c’è l’uomo. C’è poi una vita sotto terra o nelle profondità marine ed infine una più limitata nell’aria. L’uomo grazie alla sua intelligenza è riuscito a vivere tutte e tre queste esperienze. Ha adattato la terra alle sue esigenze, plasmando la materia, avendone individuato le leggi. 

Non tutti gli uomini sono stati in grado di agire allo stesso modo, da qui le prime divisioni sociali. Da una differente capacità naturale ed intellettiva, si è passati ben presto ad una divisione di prepotenza e di forza. E su questo binario è scivolata la storia con periodi di violenza e di pace.

Il ricco e il povero sono stati gli opposti che hanno tenuto in tensione il progresso, e mentre il primo ha continuato ad arricchire, il secondo, anche  se lentamente e con fatica, ha preso coscienza di un’ingiustizia  di cui ha cercato di liberarsi. L’evento che ha rivoluzionato questo stato di cose, è stato l’Incarnazione del Figlio di Dio, con il suo messaggio di amore, non solo in senso verticale, ma anche orizzontale. E tutto questo poggia su un elemento indispensabile che è la Fede, senza la quale si scivola in una ”lotta di classe”

In questi ultimi due secoli, la “lotta di classe” è stata a lungo mitizzata e nonostante il fallimento del marxismo e dello scientismo, viene ancora vagheggiata da diversi partiti politici, i quali riescono talvolta ad irretire alcuni cattolici, che, poi, insistendo troppo sull’aspetto materiale del Vangelo, dandone “una lettura di classe”, decretano il trionfo del sistema, dell’ “idea dell’uomo”, di un “neo-idealismo “ tinto di rosso. 

Bonhooffer chiama “penultime” certe realtà politiche e la lotta di classe; non ci si può fermare ad esse, perché occorre porsi il “problema di senso”. Per un cristiano l’ultimo discorso dovrebbe essere di ordine teologico, cioè il discorso di fede: “fede nel Tutt’Altro, e nel Tutt’Altro Incarnato, che spezza certi idoli”, come scrive il giornalista E. De Giorgis. Il cristiano deve avvertire che tra fede ed umanesimo “radicale” c’è una inconciliabilità di fondo: mentre infatti la fede sa che la salvezza viene da Dio, l’umanesimo “radicale” conta solo sulle proprie forze. Ciò non toglie che vi possa essere possibilità di dialogo. Questo tuttavia va portato avanti con giudizio, lucidità e sincerità. 

Talvolta si vuol far passare un annullamento delle distinzioni come un progressismo e si rischia di cadere in un integrismo, incapace di accettare il modo diverso di concepire la realtà. Sul piano della povertà, ad esempio, si dubita sull’agire dell’altro, dando corpo ad illazioni o stigmatizzando come ipocrisie un modo di agire  che non rientri nei metodi di lotta o sindacali. Certi partiti di estrema sinistra si sentono privilegiati difensori degli emarginati e dei poveri e pertanto insinuano sospetti e malafede se  vedono altri, con motivazioni diverse, adoperarsi allo stesso scopo. Giudicano tutto con il proprio metro, per loro il dialogo si fa monocorde. Non sono mai sfiorati dal dubbio, questi Farisei del XXI secolo, ed è facile mettere su false testimonianze da inveterati sospetti. Non è la prima volta che si cerca lo scandalo, specie se ci si può tirare dentro un prete. Per certe ideologie è inconcepibile che la “carità” cristianamente intesa, possa andare aldilà della semplice risposta ai bisogni primari, come ci ricordano i tanti volontari che operano nell’ambito della Caritas. 

Michel Quoist , cinquant’anni fa, in uno dei tanti libri sempre tanto attesi e dal titolo quanto mai sorprendente : “Cristo è vivo”   grondante  dell’Amore di Dio, a pag. 22 così scriveva: “Perché i cristiani di oggi diventino per i loro contemporanei dei segni “leggibili” dell’amore-carità, occorre che essi, piantati nel bel mezzo degli uomini, traducano in gesti di uomini moderni l’amore eterno di Gesù”.

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