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Intervista al Diacono Pietro Tomaso Ciboddo: “La malattia ha una spiegazione solo se vissuta nell’amore di Cristo”

SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Proseguiamo il nostro viaggio alla scoperta dei Diaconi che operano nella nostra Diocesi. Questa settimana abbiamo intervistato Pietro Tomaso Ciboddo, che svolge il servizio diaconale presso la Parrocchia Santissima Annunziata di Porto d’Ascoli, Vicaria di San Giacomo della Marca. Sardo di origini, Pietro è sposato con Mariuccia; hanno tre figlie, Sara, Alessia e Serena, rispettivamente di 52, 51 e 40 anni.

Prima di tutto ci racconti un po’ di lei e delle sue origini.
Sono sardo, nato a Tempio Pausania ((SS) il 7 febbraio del 1942, durante la Seconda Guerra Mondiale, in una famiglia cristiana. Ho frequentato sin da piccolo l’A.C. il cui motto era: ”Essere primo in tutto per l’onore di Cristo Re”. Ricordo con grande emozione e nostalgia i campeggi al marea  cui partecipavano i ragazzi di tutta la Diocesi. Diplomato presso il Liceo Classico Dettori, ho frequentato il biennio di Ingegneria a Cagliari, studi abbandonati per la morte di babbo. Ho dovuto improvvisare lavori occasionali, necessari al sostentamento di mamma Concetta e mio. Con grande rammarico non ho potuto continuare – per malattia – l’attività ultra centenaria di famiglia di fabbri e coltellinai decretandone la definitiva fine. Ho venduto enciclopedie, libri, pacchetti assicurativi porta a porta; ho anche, da supplente, insegnato presso la Scuola Media di Aggius – qui ho conosciuto Mariuccia -, e all’ITC di Tempio. A maggio del 68 sono stato assunto al Corriere della Sera con la mansione di Ispettore di diffusione per le Marche ed Abruzzo. Nel settembre 1969, novelli sposi, abbiamo fissato la residenza a San Benedetto. Rientravo a casa ogni 3 settimane; Mariuccia, mia moglie, seppur giovanissima, ha portato, con grande fatica ma con coraggio, – praticamente da sola – il peso di una famiglia in crescita. Non ringrazierò mai abbastanza lei e il Signore per avercela donata.

In quella fase così frenetica della sua vita dove e come ha trovato il tempo per la fede?
La fede non era sentita come priorità. Macinavo chilometri – oltre tre milioni e mezzo nel corso dell’attività lavorativa – relazioni, statistiche, controlli notturni, ispezioni. Nessun tempo per il Signore. Ho lasciato nel 1998 il Corriere per Le Gazzette edite da Edizioni Locali, sede Ancona, per poter dedicare più tempo alla famiglia. Ho, dal 2003, per disavventure della Società Editrice, maturato diverse esperienze nel campo informatico-diffusionale in Italia, Polonia e Bulgaria. Non mi rendevo conto, allora, di come Dio fosse vicino! In varie situazioni è intervenuto con potenza; ne ricordo tre in particolare, in cui si è fatto presente, per mostrarmi tutta la sua attenzione!
Un giovedì di novembre del 1998 – finito il lavoro verso le 22,30 – rientrando da Ancona, mi sono fermato alla chiesa di Sant’ Antonio da Padova per rientrare a casa insieme a Mariuccia, al termine di una catechesi. Brevemente ho scambiato qualche parola di circostanza con una signora, più anziana di noi, che spiegava il significato di quegli incontri: vedendo il mio scetticismo sull’argomento trattato, ha detto: “Piero, Gesù ti ama così come sei, ricordalo sempre!”. È stata per me una folgorazione! Spinto dalla curiosità, ho accompagnato Mariuccia in tutti gli altri incontri e siamo così entrati insieme nel Cammino neocatecumenale. Qui ho fatto le prime esperienze di ascolto vero della Parola, imparando a leggere con attenzione, a meditare e, pian piano, a pregare. Ricordo ancora, con emozione, la solenne Professione di Fede. Ho preso, via via, coscienza della vicinanza del Signore, ma ho avuto la certezza del suo amore solo qualche anno dopo. Era il periodo della guerra nella ex Jugoslavia; il porto di Ancona era presidiato dalla flotta della Nato. Un pomeriggio, con due amici pescavamo, da una barca all’ancora sotto costa, a trecento metri dal promontorio di S. Ciriaco. Senza trovare mai spiegazioni plausibili, siamo entrati in collisione con una petroliera rumena, risultata poi in avaria. Paralizzati dalla paura, scorrendo per tutta la murata della nave da poppa a prua, incapaci di ogni e qualsiasi possibile (e facilissima) reazione, siamo passati –indenni! – tra le pale dell’enorme elica ancora in movimento.
In altro periodo, anni dopo, di sera, rientravo per lavoro, in tipografia da Ancona; sulla SS Adriatica, sotto Loreto, in piena curva stava, fermo, un furgone della nettezza urbana: per evitare lo schianto – inevitabile – contro il camion, ho azzardato, alla cieca, il sorpasso, senza rendermi conto che in senso contrario sopraggiungeva un autocarro. Miracolosamente l’autista, portandosi un metro e mezzo fuori dalla carreggiata, ha lasciato lo spazio indispensabile a me per completare – indenne – la manovra. Questi fatti e tutto ciò che poi ne è conseguito, pian piano mi hanno portato a pormi domande esistenziali. Ho scoperto così un Dio diverso da quello che conoscevo: Onnipotente, giudice inflessibile, lontano da me. Ho scoperto invece che Dio è presente e agisce – prima di tutto – con amore perché Padre. Ho constatato – nel tempo – che Lui vuole solo che io accolga il suo amore e lo viva. Una cosa per me sconvolgente, di fronte alla quale non ho potuto restare spettatore: dovevo solo capire come entrare in tanto amore! Questa presa di coscienza è stata la molla che mi ha spinto a rispondere, donando almeno una parte del mio tempo agli altri.

Dunque quando e come è divenuto Diacono?
All’epoca aiutavo, come potevo don Gianni Croci, parroco della Santissima Annunziata, nel catechismo, nella preghiera pubblica del Rosario, oltre che nelle Liturgie, portando la comunione agli ammalati, come lettore e guida nelle Lodi mattutine. Con mia grande meraviglia, una mattina, mi ha chiesto la disponibilità a frequentare la Scuola di Teologia presso i Padri Sacramentini, per la preparazione al Diaconato, specificando; “Tanto nel tuo servizio cambierà poco; ma avrai, in più, l’ufficialità che ti verrà data dalla Chiesa e dalla Grazia propria del Sacramento”. Ho impiegato due anni per decidere. Sono seguiti almeno sei anni di studio, di fatica, di difficoltà, delusioni, speranze, di amicizie vere, discussioni ed esami. La chiamata/ordinazione è avvenuta il 22 gennaio 2011 insieme ad altri cinque confratelli. Il Diaconato è stato come un suggellare tutto il percorso interiore. Dico spesso che il mio cammino di fede non è stato tanto una maturazione, quanto una fermentazione, che continuerà – lo conceda il Signore – per tutta la vita.

Come è stata accolta la sua vocazione in famiglia?
Mia moglie è stata sempre comprensiva e conciliante. È per suo tramite che ho incontrato il Cammino Neocatecumenale. La mia decisione non è stata, pertanto, una sorpresa ed è stata accolta molto bene dalle figlie e da Mariuccia. Oggi, sia per l’età che per la mia fragilità e parziale autosufficienza, l’adattamento reciproco alla situazione è la strada obbligata da scoprire giorno per giorno e, comunque, da scoprire insieme.

A proposito delle sue mani, vuole parlarci della sua malattia e di come la sta vivendo?
Sono affetto – tra le altre malattie – da Tremore essenziale, patologia che colpisce arti superiori e voce. Certamente convivere con la fragilità e la non autosufficienza non è semplice. L’infermità e il dolore in genere, trovano una spiegazione solo se vissuti in simbiosi con la Croce. Se Cristo ha potuto incarnarsi e soffrire per me, per te, per noi, allora la mia sofferenza ha una motivazione se è partecipazione alla Sua. Fuori da questa logica, non c’è altro ragionamento che convinca. A chi vive la malattia raccomando di accettare il proprio stato e non di subirlo; e di pregare il Rosario. È  un’arma di una potenza incredibile: anche seguendo tutte le cure, questa preghiera è di validissimo aiuto, non mera ripetizione di formule, bensì come atto di abbandono totale al Signore. Il Rosario – come il Padre Nostro in primis – pregato in questo modo, ci tuffa nel baratro dell’Amore di Gesù Cristo, tra le braccia di Maria che ci accolgono e ci consolano come nessun altro può e sa fare!

Quali servizi ha svolto per la Diocesi in questi anni?
Ho continuato a fare ciò che facevo prima dell’Ordinazione. In più, con gradualità, mi sonno state affidate le preparazioni al Battesimo, la Cresima per chi fosse impossibilitato a seguire i Corsi parrocchiali e i matrimoni. Ricordo con particolare nostalgia il periodo di preparazione ai Sacramenti di un gruppo di 15 Albanesi, quasi tutti adulti: esperienza bellissima conclusa dal vescovo Gestori con Battesimo, Cresima, Eucarestia e un Matrimonio. Con alcuni di loro conservo ancora una profonda amicizia. Ho anche aiutato i sacerdoti anziani che hanno officiato in parrocchia: don Remo Burrasca, padre Mario Fioravanti, e per circa otto anni, don Giovanni Candellori. Don Remo mi ha spiegato come preparare l’omelia; don Giovanni mi chiesto di predicare. Attualmente faccio – come posso – quanto il buon don Alfredo mi chiede. Aiuto, da sempre, la Caritas Parrocchiale nella gestione dei dati relativi ai prodotti che riceve, e distribuisce, dal Banco Alimentare.

Qual è oggi la sfida maggiore del Diaconato Permanente?
La sfida più grande del Diaconato Permanente è la sua accoglienza e la piena consapevolezza da parte dei Parroci. Nei prossimi anni non solo sarà una necessità, ma anche un’opportunità: il Diacono, infatti, è l’unico che ha ricevuto tutti i Sacramenti, e per il suo vivere la famiglia e lavorare a contatto con ogni ceto sociale, può considerare i fatti, le necessità, le problematiche e valutarli da un punto di vista più completo e reale. Necessariamente i Diaconi dovranno essere ben preparati e, possibilmente più giovani, per collaborare con i Parroci a supportare le nuove famiglie, guidandole a vivere una Fede responsabile e adulta. Al resto provvederà il Signore!