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Sorelle Clarisse: Il cammino della Resurrezione

DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del Monastero Santa Speranza di San Benedetto del Tronto.

Leggendo il racconto che gli Atti degli Apostoli ci propongono oggi, si rimane davvero stupefatti.
Si descrive la vita delle prime comunità cristiane in questo modo: «…quelli che erano stati battezzati erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere…ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo…».
Che cosa è successo? Cosa è accaduto rispetto a quel primo giorno della settimana, il giorno della resurrezione, che, come ci racconta l’evangelista Giovanni, vede i discepoli rintanati in casa, a porte rigorosamente chiuse per paura della ritorsione dei giudei nei loro confronti?
Da pochi uomini rinchiusi nelle loro paure, nel dubbio, alla moltitudine che loda Dio nelle piazze, che si fa battezzare, che con forza testimonia Gesù risorto! Cosa è accaduto?
E’ accaduto il cammino della Resurrezione! Sì…il cammino della Resurrezione e non l’evento Resurrezione!
Perché c’è un modo fantastico, miracoloso di raccontare la Resurrezione: come un rovesciamento improvviso, quasi automatico delle situazioni, come un cammino trionfante, dirompente.
Ma, in realtà, se stiamo al Vangelo che oggi la liturgia ci propone, il cammino della Resurrezione ci appare meno dirompente: è un cammino che conosce avvicinamenti, resistenze, pause, gradualità.
Gli avvicinamenti, le resistenze, le pause, le gradualità che caratterizzano i discepoli, che sono parte di Tommaso come di ciascuno di noi.
Un cammino, però, in cui il Signore continua a manifestarsi vivo accanto a noi, anzi, «in mezzo», come scrive Giovanni; un Dio che, per far questo, non esita ad attraversare, continuamente ed ogni volta, il muro delle nostre diffidenze con un augurio di pace, «Pace a voi»; un Dio che ci consegna il suo Spirito, che ci dona, cioè, di vivere nella Trinità, nell’amore del Padre e del Figlio che si riversa sui fratelli; un Dio che continua a fidarsi di noi, «…come il Padre ha mandato me, anche io mando voi», un Gesù, cioè, che invia noi a raccontare al mondo la realtà di un Dio che ama senza misura, così come Lui stesso è stato mandato dal Padre a manifestare l’amore senza condizioni di Dio per il mondo.
Un Gesù che, però, si presenta ai suoi con i segni del Crocifisso ancora impressi, mani e fianco feriti. Perché la Resurrezione non rimargina, non cancella, non fa scomparire le ferite. Ma è proprio attraverso quelle che possono apparirci colpi duri o insensati della vita, diventiamo capaci di comprendere l’altro, di affiancare l’altro nell’attraversare le stesse tempeste. Una debolezza, quella dei discepoli e la nostra, che non è più un limite ma si trasfigura in opportunità, in risorsa.
Non è facile venire alla fede, ognuno ha un suo percorso particolare che è chiamato a compiere portando alla luce gli interrogativi e le domande che si porta dentro, cercando, senza stancarsi, una risposta.
Come fa Tommaso: non si accontenta di quello che gli riferiscono gli altri discepoli, «Abbiamo visto il Signore!». Pretende di vederlo faccia a faccia e di toccare le sue ferite!
Una debolezza? Forse…o, come dicevamo prima, una opportunità! Infatti la più bella e la prima espressione di fede è proprio la sua: «Mio Signore e mio Dio!».