Daniele Rocchi
(Nicosia) “Una maggiore comunione tra le chiese, più cura verso i giovani, l’impegno nella formazione e la gestione trasparente dei beni e il loro uso sapiente”: sono questi, per il patriarca latino di Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa, i principali punti di convergenza emersi al termine del Simposio “Radicati nella speranza”, che si è chiuso ieri a Nicosia (Cipro) promosso dalla Roaco (Riunione delle Opere di Aiuto alle Chiese Orientali), per ricordare i 10 anni della firma dell’Esortazione apostolica postsinodale “Ecclesia in Medio Oriente” di Benedetto XVI avvenuta ad Harissa (Libano) il 14 settembre del 2012. Hanno partecipato oltre 250 rappresentanti delle Chiese cattoliche del Medio Oriente, tra loro patriarchi, vescovi, sacerdoti e esponenti di istituti religiosi e movimenti laici.
Chance unica di comunione. “È stato un momento importante per far sentire la nostra voce, un tempo di condivisione, dopo 10 anni, tra realtà che non si incontrano facilmente” ha affermato il patriarca che al Sir ha messo in fila alcuni dei punti di convergenza emersi nei lavori. “Il primo, molto chiaro, è il bisogno di avere una maggiore comunione tra le chiese che dovrebbe essere tradotta anche in gesti concreti come avere, da parte di tutte le chiese cattoliche, un’unica versione del Padre Nostro, la condivisione di dati e statistiche e una maggiore collaborazione sulle scuole. Tenendo presente i cambiamenti anche drammatici di questi ultimi anni credo che nessuna Chiesa potrà, da sola, risolvere i suoi problemi. Basta lamentarsi”. Una “chance unica” di comunione, ha ripetuto il patriarca è “il cammino sinodale” che è anche “un momento per comprendere cosa vogliono le nuove generazioni” e per capire “con chi si può lavorare. Al simposio si è parlato di giovani come una sorta di ‘vulnus’, di ferita. Se è davvero così allora questa ferita va curata incoraggiando cammini di formazione cristiana incentrata sulla catechesi ripensata per questi nostri tempi. La formazione – ha aggiunto Pizzaballa – è un modo di stare nella Chiesa che non può prescindere dalla vocazione. Siamo dentro a un processo positivo i cui frutti non si vedranno subito ma che, ne sono certo, produrrà nel tempo, un nuovo stile anche il Medio Oriente. Sarà responsabilità dei pastori guidare questo processo. I nostri primi interlocutori – ha concluso il patriarca di Gerusalemme – sono le nostre chiese, le nostre comunità. In questi giorni abbiamo ascoltato che un buon credente è anche un buon cittadino. Abbiamo il dovere di superare il complesso di minoranza e diventare partecipi e attivi alla vita delle nostre società. Non è importante quanti siamo ma cosa abbiamo da dire – come comunità – per il futuro delle nostre chiese e dei nostri Paesi”.
Sguardo di fede. Dello stesso avviso anche il Custode di Terra Santa, padre Francesco Patton, presente al Simposio, per il quale l’esortazione “Ecclesia in Medio Oriente” detiene “una grande attualità e un carattere lungimirante che va oltre il semplice presente. Lo testimoniano temi come la trasmissione della fede, i giovani, i migranti, la formazione, il ruolo della donna, la gestione dei beni temporali, la comunione e la vocazione, ampiamente dibattuti a Nicosia”. La sequenza di eventi dell’ultimo decennio sta riconfigurando il Medio Oriente che “non è più quello che si conosceva anche solo venti o trent’anni fa, ma è una terra che accoglie milioni di lavoratori migranti, e milioni di lavoratori migranti cristiani. Ci sono – ha spiegato il Custode – anche delle nuove chiese che stanno nascendo nella regione. Da un lato assistiamo, con preoccupazione, all’esodo di membri di Chiese antichissime, dall’altro all’arrivo di nuovi cristiani sul nostro territorio. La sfida che abbiamo davanti è quella dell’integrazione a livello ecclesiale”. Stesso discorso vale per padre Patton per “la gioventù, che deve sentirsi partecipe a pieno titolo della vita della Chiesa e non semplicemente destinataria di qualcosa, e per le donne che molto hanno da dare alla vita della Chiesa e alla missione della Chiesa”. C’è la necessità, secondo il francescano, di abbandonare “quello sport, a volte ecclesiale, che è la lamentazione” per testimoniare “l’incontro personale con Cristo risorto. Da questa esperienza di fede nasce anche la capacità di trasmettere la speranza e la capacità di guardare al futuro con uno sguardo di fede”. Il simposio di Nicosia “è stato un forte momento di sinodalità perché l’esercizio dell’ascolto reciproco è fondamentale all’interno della Chiesa stessa ed è fondamentale all’interno di una realtà complessa come il Medio Oriente, dove la necessità del dialogo interno alle chiese si affianca a quello con l’Islam e con l’ebraismo”. Collegato al dialogo con l’Islam è quello della cittadinanza che potrà avere un riconoscimento quando “gli Stati a maggioranza musulmana ne recepiranno il concetto come è stato sottoscritto dalla massima autorità sunnita, Al Tayyeb e da Papa Francesco nel documento di Abu Dhabi. In quel giorno i cristiani non dovranno più avere paura di rimanere come minoranza all’interno di società musulmane. Per arrivare a questo risultato bisogna insistere bisogna che tutti facciano la propria parte, comprese le diplomazie anche ecclesiastiche che devono lavorare con i Governi”.