Incontriamo oggi don Franco Monterubbianesi, prete di quasi 93 anni, fondatore della Comunità di Capodarco di Fermo, una realtà longeva che, da oltre 55 anni, si occupa delle persone con disabilità e delle loro famiglie.

Qual è l’attuale condizione del mondo della disabilità nei territori della regione Marche?
Le famiglie marchigiane, come quelle del resto d’Italia, si preoccupano dei loro figli disabili, pensando soprattutto a quando essi non ci saranno più. In questi giorni pensiamo al dolore del dottore di Teramo che ha ucciso tutti e sé stesso per l’angoscia del figlio miodistrofico. Noi di Capodarco abbiamo fatto fare la legge n. 112 del 2016 sul “Dopo di noi” che testimonia l’impegno di tanti cittadini marchigiani che sono sensibili a questo problema e che si sono battuti e continuano a farlo per migliorare le condizioni delle persone con disabilità e delle loro famiglie. A Grottammare, ad esempio, consoco la signora Maria Lauri che ha creato un grande complesso riabilitativo con tanti operatori per numerose famiglie, due gruppi famiglia, una cooperativa agricola, e ha fatto sempre ogni cosa con il pensiero rivolto alla sua figlioletta disabile – simpaticissima – e al suo futuro, pensando a quando lei non ci sarà più. Purtroppo, però, nonostante l’impegno suo e di tante altre persone come lei, le famiglie oggi sono sole. Qui da noi, come nel resto del Paese. E, sebbene esista, la legge rischia l’inadempienza.

Quali sono le esigenze principali delle famiglie delle persone con disabilità?
Le famiglie hanno soprattutto bisogno di operatori che si sappiano integrare nella vita comune con i disabili in maniera autentica e con tanto amore, quello stesso amore che la famiglia sa dare loro. I disabili, infatti, hanno bisogno di risposte su tutti i problemi emergenti e sul loro loro futuro ed hanno bisogno di non sentirsi assistiti o, peggio ancora di peso, bensì devono poter vivere la loro vita con dignità. Per questo motivo è molto importante scuotere le coscienze dei giovani ed informarli su questo importante tema. Io ho fatto nascere Capodarco dai giovani del ’68, che, con il servizio civile e l’obiezione di coscienza, si sono dedicati ai disabili in tante espressioni di vita. Quando insegnavo al Montani di Fermo, come docente di Religione, mi sono rivolto ai giovani sempre con idee propositive e senza giudicarli. Un atteggiamento, questo, che è stato premiato, in quanto da loro ho ricevuto veramente tanto entusiasmo. Ora il progetto che porto avanti è definito “Progetto Speranza”, per tutta Italia. A Fermo, San Benedetto del Tronto e Ascoli Piceno, con l’aiuto dei Vescovi, sensibilizzati a questo discorso anche per il sinodo che si sta attuando, vorrei vedere tanti giovani ritrovarsi insieme ed, insieme, ritrovare essi stessi la Speranza del loro futuro. Dobbiamo però aiutarli a ritrovare la Fede che la Pasqua ci ha detto questi giorni: Gesù è risorto per dare anche a noi la vittoria nelle nostre lotte a favore dei poveri e di chi è in difficoltà, così come per le famiglie dei disabili.

Che messaggio vuole dare ai lettori?
La testimonianza della mia resistenza può servire anche a voi di San Benedetto del Tronto. Chiedo ai giornali e a tutti i lettori di divulgare notizie brevi sul progetto che faremo e che vorremmo coinvolgesse le tre diocesi di San Benedetto del Tronto, Ascoli Piceno e Fermo. Si tratta di una iniziativa che per aiutare le famiglie delle persone con disabilità. Noi crediamo ad un “Dopo di noi” non assistenziale, bensì promozionale. Pensiamo ad ambienti di lavoro in cui la cura delle persone venga prima di ogni altra cosa, in cui le persone che svolgono un’attività non siano ridotte ad oggetti, bensì siano soggetti attivi dello stare insieme. In tal senso l’agricoltura può aiutare molto a far vivere ai giovani disabili esperienze di vita comune utili e, allo stesso tempo, dignitose. Le fattorie sociali, infatti, sono uno spazio in cui rivive la comunità delle persone, anche quelle con maggiori difficoltà, promosse nella loro dignità di persone. Ci siamo abituati in questi ultimi anni a vedere un estremo assistenzialismo, che, però, non aiuta l’autonomia e il riconoscimento del valore dei disabili: sebbene, infatti, sia mosso da buoni sentimenti, l’assistenzialismo riduce la persona ad essere un soggetto passivo. Noi, al contrario, crediamo che impegnare i disabili in un’attività, che li veda protagonisti laboriosi e solerti, sia il modo migliore per restituire loro quella dignità e quel valore di cui spesso vengono privati. Chiedo perciò aiuto ai giovani, chiedo loro di credere in tale progetto e di tenere sempre presente questa idealità nel loro lavoro. L’Europa ci aiuterà con i fondi del PNRR e sono certo che gli enti locali si riuniranno in tale ideale per dare ai giovani questo futuro.
Colgo l’occasione per ringrazio il Signore per il bene compiuto in questi anni al servizio delle persone disabili, dei minori, di quanti vivono situazioni di dipendenza e di disagio e delle loro famiglie. Ho scelto di stare dalla parte di queste persone meno tutelate, per offrire loro accoglienza, sostegno e speranza, in una dinamica di condivisione. E ringrazio anche tutte le persone che, insieme a me, hanno contribuito a rendere migliore la società.

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