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Sorelle Clarisse: “Il Pastore Bello”

DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del Monastero Santa Speranza di San Benedetto del Tronto.

Per capire bene il brano evangelico di questa domenica occorre fare un passo indietro fino al capitolo 9 del Vangelo di Giovanni.
Gesù discute con i farisei dopo aver compiuto il miracolo della guarigione del cieco nato, miracolo avvenuto in giorno di sabato, quindi contro le disposizioni di legge.
Il Signore contesta ai farisei l’incapacità di vedere, di riconoscere la presenza di Dio nella storia del suo popolo, sono guide cieche. E con la figura di cui si serve nel Vangelo di oggi, quella del pastore bello, mostra cosa significhi essere guide, pastori dediti con tutta la propria vita al bene del gregge, del popolo che è stato loro affidato.
Utilizzando diverse immagini tratte dal mondo della pastorizia, paragona se stesso alla porta del recinto delle pecore, all’ovile sicuro, al pastore buono che conduce le pecore fuori dall’ovile per cercare e trovare pascolo, perché abbiano vita e vita in abbondanza. E noi siamo le sue pecore: bisognosi di cura, di nutrimento, di qualcuno che ci indichi la strada, bisognosi di sentire che la nostra vita ha un senso e importa, in maniera irriducibile a qualcuno.
Un pastore che ci conduce fuori dal recinto e che, come canta il salmo, su pascoli erbosi ci fa riposare, ad acque tranquille ci conduce.
Un pastore che ci conduce sempre e ci scorta senza sosta nel cammino della vita perché possiamo vivere e non morire. Non un pastore di retroguardia ma un pastore che ci precede, che ci apre la strada, che anticipa i pericoli, che scruta l’orizzonte.
Un pastore che seduce con il suo andare, che affascina con il suo esempio, che ci spinge a dilatare il nostro cuore, ad allargare i nostri orizzonti, a fuggire la piccineria, fosse anche santa e devota, a perdere la nostra vita donandola, come Egli ha voluto e saputo fare.
Gesù è anche la porta del recinto: non un muro o un vecchio recinto dove tutto gira e rigira e torna sui suoi giri. Cristo è porta aperta, passaggio, transito per cui va e viene la vita di Dio. E’ il punto più sicuro del recinto, quello che ladri, briganti e lupi evitano, il luogo che permette apertura e libertà. Perché è la porta che permette una relazione, è la porta che dà sicurezza ma anche autonomia, è la porta che permette al gregge una vita serena, erba fresca, verdi pascoli, aria pulita e una notte al sicuro.
Scrive un autore che, se il Signore si definisce porta, allora egli è la bocca a cui accostare le nostre stesse labbra per entrare nel mistero dell’amore infinito che è Dio stesso. Non c’è bacio, invece, in un amore mercenario!
E’ questo il vero volto della fede: quell’empatia viscerale tra Dio, il pastore, e ciascuno di noi, pecora del suo gregge, una empatia che ci fa complici della stessa vita, abitanti della stessa casa, commensali all’unica mensa!
Ed è quanto risponde Pietro alla domanda della folla che sta ascoltando la sua testimonianza: cosa dobbiamo fare? Come comportarci? Come aderire a Gesù?
«Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e riceverete il dono dello Spirito Santo».
Non è un percorso, un itinerario inventato, progettato, studiato dagli apostoli, quasi un test di accesso alla comunità cristiana nascente! E’ invece sintonia di cuore, partecipazione di corpi, cancellazione di ogni distanza, appartenenza reciproca, relazione di vita con il Dio della vita al di là di ogni ricatto o dipendenza, al di là di ogni culto sterile e vuoto.

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