Filippo Passantino
“Noi abbiamo potuto guardare da vicino la vita del mondo con uno sguardo profondo, libero. Abbiamo colto i grandi processi in corso, riconoscendoli e mettendoli nel posto giusto. E questo non limitandosi a leggere solo i processi, ma raccontando nomi e volti delle persone che c’erano dentro”. Marco Tarquino lascia la direzione di Avvenire, dopo 14 anni. Al telefono, dalla sua Assisi traccia un bilancio del suo impegno. “Abbiamo fatto lo sforzo di dare un nome a chi fa buona impresa, a chi si batte per la vita nascente o per il lavoro degno. Questa è la cosa grande che possono fare i giornali. Anche se molti dicono che i giornali servono ad altro: rappresentare determinate sensazioni della gente, il sensazionalismo e magari pure il cattivismo. No, non è così. Abbiamo potuto verificarlo e dimostrarlo assieme alle mie colleghe e ai miei colleghi”.
Qual è la crisi più grande affrontata in questi 14 anni?
Le crisi sono tre: c’è una crisi del modello economico. Con quello che il Papa definisce un pensiero dominante che tende a farsi unico. Ma soprattutto la gestione dei flussi migratori. Abbiamo trasformato in un problema quello che è il patto sociale della vita del mondo: il movimento delle persone che, come la circolazione del sangue nel corpo umano, se si fermasse verrebbe meno la nostra vitalità. Non ci sarebbe scambio. Senza differenze niente sarebbe fertile. E non sono slogan. È la vita del nostro Paese. Anche se sembra arrivato al vertice il benessere, c’è uno star bene che bisogna sapere costruire. Perché gli uomini sono la ricchezza della società, non sono il problema.
L’altra crisi è quella bellica. I conflitti aperti nel mondo sono 169 – quello in Ucraina ne è il simbolo – e stanno diventando la misura e lo strumento con cui risolvere le controversie internazionali. L’esatto contrario di quello che dice la nostra Costituzione, che Papa Francesco il 27 febbraio 2022 ha citato, parlando al mondo. Avremmo dovuto provare emozione e orgoglio. Invece, non siamo stati molto conseguenti con quella chiamata alla responsabilità. Purtroppo.
Il momento più bello di questi 14 anni?
Sono tanti. Chi fa il nostro mestiere sa quante imperfezioni ci siano. Ogni giorno, ogni chiusura di giornale, è un piccolo miracolo che è accaduto. Tra i grandi fatti, quello che mi ha impressionato di più sul piano professionale è quando, come comunità di lavoro di Avvenire, abbiamo incontrato Papa Francesco per i nostri 50 anni, cinque anni fa. Sono stato per tre quarti d’ora accanto a lui, presentandogli tutti gli uomini e donne che lavorano ad Avvenire: redattori, amministrativi, tipografi. Io ero stanco, sfinito. E guardavo questo uomo di Dio più grande di me, che sapeva trovare per ciascuno di loro una parola, un gesto. Ho avuto una grande lezione di cosa significa essere padre e il Papa. E quanta grazia ci sia nel vivere questo servizio.
Qual è il testimone che passa al suo successore?
Io passo a Marco Girardo un testimone non perfetto, ma bello e vero. Lui è un uomo di valore e di valori e una bellissima persona, oltre che un grande collega. In questi anni, è stato uno dei miei collaboratori più stretti. Caporedattore all’Economia ed esperto della transizione dell’informazione nel contesto digitale. Credo di dovergli passare l’idea che si possa fare un giornalismo di qualità, in un Paese che ci sta dicendo che le macchine lavorano meglio degli uomini. In un mondo che ci sta dicendo che le macchine possono fare meglio degli uomini anche l’informazione. E non è così. Non è un buon servizio alla vita della gente, se non c’è la relazione umana che dà cuore a tutte le cose e ad aiutare a dare cuore umano anche alle leggi e alle regole del nostro vivere comune. Questo possono fare i giornalisti: accompagnare la vita e lo sguardo della gente.
Il “grazie” del Sir. Un sincero grazie a Marco Tarquinio anche da parte del Sir, per il gran lavoro svolto in questi anni sul fronte dell’informazione cattolica, schietta, limpida, coerente, fedele al Vangelo. Grazie anche per aver puntato e sostenuto la collaborazione tra i media della CEI, in particolare con il Sir. Ma soprattutto grazie dell’amicizia personalmente mostratami più volte, e in più occasioni, in questi anni. E nel fare al direttore entrante Marco Girardo gli auguri più affettuosi per il nuovo impegno alla guida del quotidiano, assicurandogli da subito collaborazione e disponibilità, saluto con altrettanto affetto quello uscente, l’amico Marco, con le parole del salmo 92: “Nella vecchiaia daranno ancora frutti, saranno verdi e rigogliosi, per annunciare quanto è retto il Signore” .