(Foto ANSA/SIR)

Marco Pagniello

L’istituto della protezione speciale ha finora garantito anche a persone irregolarmente presenti sul territorio di poter sanare la propria posizione. Se questa previsione viene ora ridotta, si rischia di tornare ad alimentare l’irregolarità e la ricattabilità di molti, di lasciare senza tutela quelle persone che provengono da situazioni di conflitto non conclamate, le vittime di violenze, anche di genere, quanti sono gravemente malati o in fuga da disastri ambientali.

Impedire che i permessi di soggiorno per protezione speciale, cure mediche e calamità possano essere convertiti in permessi di lavoro produrrà molta irregolarità e vulnerabilità sociale.

L’idea che le migrazioni si possano gestire con una pianificazione dei flussi per motivi di lavoro è certamente condivisibile ma non rappresenta una novità sostanziale. L’ampliamento degli ingressi legali per lavoratori stranieri è già presente nel Testo Unico sull’Immigrazione.

Il decreto prevede un inasprimento delle pene per i trafficanti di esseri umani da un lato e l’estensione della possibilità di trattenere le persone nei CPR dall’altro. Sembrano provvedimenti destinati ad avere scarsa efficacia e poca utilità pratica.

Preoccupa anche l’esclusione delle persone richiedenti asilo dal Sistema di accoglienza e integrazione (Sai), che è in molti caso un esempio virtuoso di quell’accoglienza diffusa che auspichiamo. Questo non favorisce purtroppo il processo di integrazione, con tutte le conseguenze che ciò comporta anche per la sicurezza pubblica.

È ormai a tutti chiaro che quello migratorio è un fenomeno che non va affrontato con la logica dell’emergenza. È necessario gestirlo in termini strutturali, nella prospettiva del bene comune, capaci di guardare oltre i confini nazionali, anche con azioni congiunte a livello europeo (pur senza che l’Europa divenga un alibi per i singoli Paesi).

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