SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Come ogni settimana torna l’appuntamento con la rubrica dedicata agli autori locali. Oggi abbiamo intervistato la scrittrice sambenedettese Nuela Celli. “Il giallo della sonnambula sui tetti” è il titolo della sua ultima opera letteraria, edita da Fratelli Frilli Editori con prefazione di Marilù Oliva. Nata a San Benedetto, dopo la maturità classica, si laurea in Lettere Moderne e poi in Scienze della Formazione Primaria, diventando un’insegnante di sostegno. Nel 2015 pubblica Come non mi vuoi, per i tipi della Echos Edizioni, e nel 2021 il romanzo Countdown, per la Giraldi Editore. Collabora, con le proprie recensioni, al blog Libroguerriero.
Protagonista di questo suo ultimo lavoro è Elga Tornabuoni psicoterapeuta che alla morte dei suoi genitori deve fare i conti con la solitudine. Come prova a superare questo lutto?
La perdita dei genitori è sempre un dramma, anche se inevitabile poiché nell’ordine delle cose. Nel caso di Elga diventa ulteriormente destabilizzante perché lei non ha creato una sua famiglia, non ha un marito e dei figli. Ciò non è stato un problema fin quando le premure dei suoi genitori, gli impegni mondani, il benessere e la carriera di psicoterapeuta le riempivano la vita. Con il lutto ogni cosa cambia e come sempre accade i problemi amano la compagnia. La sua carriera langue, la rete sociale cui ha sempre fatto riferimento comincia a disgregarsi e il patrimonio famigliare, compromesso da un tenore di vita molto alto, inizia a richiedere delle spese che lei non è più in grado di sostenere. A questo punto il mix alienante di solitudine, precarietà economica e snobismo, nel quale è cresciuta, in fondo non avendone colpa, diventa il motivo scatenante che la spinge a prendere una decisione estrema. Si sa, i momenti di crisi possono essere scogli insormontabili oppure occasioni di crescita. Ad Elga non rimane che mettersi in gioco.
La storia è ambientata a Bologna. Perché questa scelta?
È una città vitale, letteraria, godereccia, non giudicante, a misura d’uomo ma non asfissiante: una perfetta via di mezzo per esprimersi liberamente senza perdere la propria identità. E poi la conosco molto bene.
Quanto c’è di Elga in lei?
Di Elga ho la stessa libertà mentale e amore per il cibo. Per il resto siamo molto diverse. La maternità è uno dei lati più importanti della mia vita, mentre lei non ne ha sentito la necessità, si è sempre identificata nella dimensione filiale.
C’è un tema ricorrente nelle sue opere?
La libertà, di sicuro: prima di tutto mentale. Non servono grandi atti rivoluzionari o viaggi intercontinentali, mi riferisco alla libertà che si ha nel guardare le cose a modo proprio, sembrerà banale ma è rarissima. Per quanto si vada lontano, ogni angolo di mondo infonde dei condizionamenti, culturali, sociali o di qualsiasi tipo. Liberarsene non è facile. Le mie protagoniste devono sempre affrontare delle peripezie rocambolesche per farcela. Sempre con ironia naturalmente, quella non può mancare mai.
Lei è insegnante di sostegno. A suo avviso qual è l’insegnamento più importante da trasmettere agli allievi?
Da qualche anno ho iniziato a insegnare inglese, anche se il sostegno rimane nel mio cuore. Agli alunni mi piace infondere l’amore per il sapere e la curiosità. Se si riesce ad avere un interesse attivo per ciò che si studia e per la realtà che ci circonda, la noia diventa soltanto un ricordo. Basta avere un libro tra le mani o qualcuno con cui condividere le proprie riflessioni e tutto inizia a vibrare. Vedo molti bambini e adolescenti demotivati e questo mi rattrista. Bisogna saper accendere in loro la scintilla e la passione per la conoscenza. L’empatia è il primo passo, poi li si deve coinvolgere facendoli impegnare e divertire allo stesso tempo. Riuscirci è fantastico, motivo per il quale amo molto il mio lavoro.
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