Tornano a Roma gli Stati generali della natalità, promossi nell’Auditorium della Conciliazione, giovedì 11 e venerdì 12 maggio, dalla Fondazione per la natalità, guidata da Gigi De Palo. Tra gli ospiti illustri della terza edizione, Papa Francesco e il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni; entrambi interverranno la mattina del 12 maggio. Nella due giorni, saranno presenti anche i ministri Giuseppe Valditara, Eugenia Roccella, Giancarlo Giorgetti, Adolfo Urso e il presidente dei vescovi italiani, card. Matteo Zuppi. Degli Stati generali e della questione natalità parliamo con Gigi De Palo.
Qual è l’obiettivo degli Stati generali della natalità?
Finalmente in Italia il tema della natalità è diventato centrale nel dibattito pubblico.Gli Stati generali della natalità hanno contribuito a trasformare questo che era un tema di nicchia in uno al centro del dibattito culturale. Nel Paese ne parlano tutti, ci sono giornali che ne parlano.Da uno studio di un noto quotidiano è emerso che oltre il 70% degli italiani pensa che una delle soluzioni all’inverno demografico possa essere il “detassare” i figli. Ma è importante già il fatto stesso che sia stata realizzata l’inchiesta. Anche in questa terza edizione l’obiettivo degli Stati generali della natalità è mettere tutti insieme. Questo è un tema non divisivo, è un tema sul quale si può fare squadra. E l’Italia riesce a offrire il suo lato migliore quando riesce a fare squadra, il nostro Paese è forte quando è coeso, quando non ci sono destra, sinistra, maggioranza e opposizione, ma quando siamo tutti uniti.
Quali sono i momenti più interessanti in programma in questa terza edizione degli Stati generali?
Sicuramente per questa terza edizione il momento clou è la partecipazione del Papa e di Giorgia Meloni,
ma anche il tavolo con tutti i leader politici – Giuseppe Conte, Elly Schlein, Antonio Tajani, Matteo Salvini, Carlo Calenda, Elena Bonetti, Francesco Lollobrigida – è importante, così come il tavolo con gran parte degli amministratori delegati delle aziende che contano in Italia. Questo dimostra che non è solo una questione politica, ma anche economica, mediatica.
La denatalità si combatte solo con politiche familiari con misure economiche? O è anche un problema culturale?
Non facciamo supposizioni, facciamo parlare i dati. Giancarlo Blangiardo, già presidente dell’Istat, ha presentato, in occasione della conferenza stampa per la terza edizione degli Stati generali, dati freschi che aiutano a fare anche una lettura qualitativa: tali dati mostrano che le donne italiane negli ultimi trent’anni hanno desiderato in media di avere 2,2-2,4 figli. Purtroppo, poi, ne fanno 1,24. Se fosse un problema culturale non avremmo che le donne desidererebbero 2,2-2,4 figli. Se noi applicassimo in Italia le politiche familiari e fiscali che sono state adottate in Francia e in Germania, con questo desiderio di maternità che c’è nelle donne italiane si otterrebbero risultati superiori a Francia e Germania.Quindi c’è un desiderio che in Italia non viene trasformato perché mancano i presupposti perché ciò avvenga, ma a livello culturale il desiderio c’è.È totalmente sbagliato, a mio avviso, fare ragionamenti dove cultura ed economia sono separate. La cosa grave a mio modo di vedere, perché banalizza i giovani, è che si possa pensare che i giovani tra lo spritz e i figli abbiano scelto lo spritz. Questo è offensivo nei confronti dei giovani italiani. Il problema è un altro: i giovani italiani, alla luce delle politiche negative che sono state fatte nel nostro Paese in questi anni, tra un figlio e lo spritz hanno dovuto ripiegare i loro sogni sullo spritz perché il figlio è impossibile farlo, essendo la seconda causa di povertà in Italia, dopo la perdita del lavoro di uno dei componenti della famiglia.
Quindi, non incide sull’inverno demografico la scelta di non voler affrontare sacrifici?
Non posso negare che avere figli comporta sacrifici, ma quello che
vogliamo mostrare anche con gli Stati generali è che avere i figli è più bello che stancante.
Certo, fare figli è faticoso, ma resta il desiderio di farli. C’è una consapevolezza maggiore rispetto al passato: il demografo Alessandro Rosina dice che prima i figli si facevano perché era automatico, oggi c’è una consapevolezza maggiore nel farli. Il fatto che sia una scelta ancora più ponderata e ci siano dati che mostrano come il desiderio di averli sia superiore a quanto poi nella realtà si fa è un tema su cui dobbiamo ragionare. Credo che dobbiamo togliere l’alibi economico. Considerare la denatalità frutto di una mentalità culturale e sociale è un ragionamento che si potrebbe fare solo dopo che per una decina di anni si è fatto in modo che la nascita di un figlio non comporti un impoverimento, non sia più una questione privata, ma diventi una questione legata al bene comune, sia considerata a livello fiscale, venga accompagnata da un segnale serio con un assegno unico – come avviene in altri Paesi – molto importante. Altrimenti, cercare altre cause è folle, perché l’Italia non è un Paese a dimensione familiare.
Dunque, in Italia non c’è alcuno sostegno a chi vuole fare figli?
Oggi come oggi non conviene fare un figlio in Italia.
Non a caso, i nostri giovani che vanno all’estero i figli li fanno, perché in Paesi come Francia, Germania, Belgio se si fanno figli si ha diritto ad assistenza, accompagnamento, i figli sono considerati un bene comune e sono valorizzati, viene dato loro un peso economico, vengono dati servizi, si pagano le tasse di meno. In Italia questo non c’è. Quindi, non si può dire che è anche una questione di pigrizia dei giovani di oggi, che non hanno spirito di sacrificio.Nel periodo del baby boom in Italia, negli anni Sessanta, il futuro non era una minaccia, ma una promessa. Oggi il futuro è una minaccia, c’è angoscia.L’aspetto culturale non è: i giovani sono bamboccioni, sono mollaccioni, non vogliono figli. L’aspetto culturale oggi è: il futuro è una minaccia, tra crisi economiche, guerre e pandemie e prima di avere un figlio ci si pensa. Noi dobbiamo creare le premesse affinché i giovani siano messi nella condizione di realizzare i loro sogni lavorativi e familiari, affinché le donne possono realizzare il loro desiderio di maternità.
Se le poche nascite fossero legate a un fattore culturale non avremmo il desiderio di maternità.
In Italia non ci sono le condizioni per vivere dignitosamente con un figlio. Basiamoci sui dati di fatto, non possiamo fare delle letture culturali per giustificare il dato di fatto. I dati di fatto sono che in Italia si diventa poveri se si fanno figli, che si resta precari fino a 35 anni, che la fiscalità non tiene conto della composizione familiare, che se si ha uno stipendio medio per l’assegno unico si ricevono meno di 100 euro, ma un figlio costa quasi 700 euro al mese, che le donne sono costrette a scegliere tra lavoro e famiglia, che per portare a 18 anni un figlio costa circa 172mila euro a una famiglia italiana. Non dico che l’aspetto culturale non ci sia, ma è secondario ed è anche condizionato dall’aspetto economico.