Filippo Passantino
Era al suo fianco, mons. Carmelo Ferraro, quando Giovanni Paolo II condannava, trent’anni fa, apertamente la mafia e invitava i mafiosi alla conversione. Dallo stadio di Agrigento, ai piedi della Valle dei Templi, il Papa pronunciava per la prima volta la parola “mafia”, togliendo dal favore delle tenebre quest’agglomerazione umana.
Parlava a braccio, con un tono determinato. “Aveva una voce baritonale. Subito dopo il suo grido profetico, scoppiò un lungo applauso – ricorda al Sir l’arcivescovo emerito di Agrigento -. Tante persone accolsero quelle parole come una liberazione”.
Eccellenza, qual è il suo ricordo di quella visita di Giovanni Paolo II ad Agrigento?
Ricordo la gioia diffusa tra i cuori, tutti in festa, come se fosse stata una visita personale per ciascuno. La giornata è trascorsa, incontrando bambini, giovani e gruppi missionari. Si leggeva questa gioia interiore. Il Papa, arrivando, disse ‘Vengo come pellegrino del Vangelo’. Salutando la folla, ha tessuto l’elogio di Agrigento come ‘città di antichissime civiltà, di mente eccelsa, di cuori generosi’. Mai nessuno aveva fatto un elogio di Agrigento in questa maniera, anche nei confronti della Chiesa di Agrigento. ‘Saluto te, Chiesa di Agrigento, intrepida nella fede che hai dato alla Chiesa dei martiri e dei santi’. Gli ingegneri delle Ferrovie dello Stato immediatamente captarono la potenza di questi versi così chiari e così superbi nei confronti della comunità che veniva visitata, che l’ingresso ad Agrigento sono state installate due lapidi a ricordo per Agrigento e per la Chiesa di Agrigento. E questo riconoscere le ricchezze, in un contesto che portava i segni di circa trecento morti ammazzati nello spazio di due tre anni, era per tutti una gioia profonda. Perché il vero problema attorno alla mafia è che spesso la gente crede che siano tutti mafiosi. In realtà, i mafiosi in percentuale saranno l’uno per mille su cinque milioni di abitanti. Giovanni Paolo II capì questo e ne volle parlare, consapevole che questo popolo ha diritto al rispetto, andando oltre ai pregiudizi. Il suo messaggio, da una parte, era all’insegna del Vangelo. Dall’altra parte, della visione della vita, la più bella che si potesse immaginare.
Quale fu l’origine di questo viaggio del Papa ad Agrigento?
Il Papa aveva promesso alla città di Catania, alla comunità di Catania, una visita. Ma, nei giorni precedenti, cadde e si ruppe una gamba. Così la data è stata spostata. Quando, l’allora arcivescovo di Catania seppe la nuova data, nel mese di settembre, capì che non ci sarebbe stata una presenza all’altezza dell’evento vista la stagione. Il Papa voleva anche visitare la struttura di Zichichi, a Erice. Così l’allora arcivescovo di Caltanissetta mi chiese di aggiungere anche la diocesi di Agrigento alla richiesta della visita. Da lì poi è cominciata la preparazione, motivando i giovani, le comunità con grande entusiamo. La Valle dei Templi l’abbiamo scelta noi, perché non c’era un luogo più potente, come espressione della realtà.
Perché fu un evento storico per la Sicilia?
Bisogna leggere in profondità. Per esempio, sono venuti quindicimila giovani da tutta la Sicilia. Era tutto un fermentare di semi. La generazione di questo incontro col Papa si è formata in maniera solida. Ricordo che in quella circostanza feci mettere la preghiera notturna. Noi abbiamo programmato di pregare durante tutta la notte. Al Papa piacque così tanto la cosa che quando i giovani dicevano ‘vive il Papa’, Giovanni Paolo II rispondeva ‘viva i giovani che hanno rinunziato a dormire per incontrare il Papa’. Questo per avere un’idea del clima di quei momenti. Un’altra delle cose che piacque molto al Papa fu questa: da una parte, vi erano una decina di persone vestite con abiti neri, con le tuniche nere; dall’altra, un gruppo di una ventina, vestite con abiti variopinti. Entravano quelli vestiti con le tuniche nere, portando una croce senza crocifisso. Entravano nel campo sportivo con una nenia funebre, ricordando tutti i morti ammazzati che vi erano stati. Questo questo gruppo, che commemorava la morte, poi usciva lasciando spazio all’ingresso di un gruppo che simboleggiava l’arcobaleno con una musica diversa, un altro modo di sentire, perché rappresentava il Cristo risorto che veniva a portare la speranza nel mondo.
Perché ha caratterizzato la storia della Chiesa il grido di Giovanni Paolo II contro la mafia?
Quello di Giovanni Paolo II fu un “grido profetico” di colui che veniva in un comunità che adorava Colui che era via, verità e vita del mondo. Il suo parlare all’inizio fu un parlare sulla Chiesa. Poi, ricordo che fece riferimento al nome di uno dei templi qua vicino che si chiama Concordia. Cosa che serviva alla comunità cristiana che vuole vivere nella pace. Il Papa capì che nella mafia era coinvolta una sparuta minoranza che si rifaceva a dei codici di morte caratteristici di una cultura di Caino. Poi, Giovanni Paolo II entrò nel merito del profeta di Dio che dice ‘Un giorno Dio ho detto: tu non uccidere’. A questo il Papa aggiunse che ‘non è possibile che qualsiasi associazione o aggregazione mafiosa possa calpestare questo comandamento santissimo di Dio’. Aumentò il tono della voce. Scoppiò un lungo applauso. Questo testimonia che vi era una comunità cristiana che vedeva una liberazione in queste parole. Al termine, accompagnai il Papa all’eliporto. Arrivati lì, il comandante dell’elicottero ci disse che tutti i telegiornali del mondo stavano già trasmettendo le parole del Papa.
E quale impatto ebbero quelle parole sulla mafia?
Non c’è dubbio che i figli perduti erano anche là. O se non c’erano, vedevano da lontano, ma erano interessanti. Per la prima volta, in un discorso di un Papa, è risuonata davanti al mondo la parola mafia. Con questo invito al pentimento e al giudizio di Dio. Era un fatto molto importante in quel momento storico. Di speranza e liberazione per una intera comunità. La mafia, anche se non c’è stata una scomunica, non l’ha presa bene. E, come tipico nei suoi codici, si è vendicata. Nel mese di luglio, ha messo delle bombe a San Giovanni in Laterano e a San Giorgio al Velabro. La stessa notte, nella stessa ora. Quindi, il messaggio era molto chiaro. Poi, il 15 settembre 1993, la mafia diede la sua ultima parola, uccidendo don Pino Puglisi. Era la prima volta che si uccideva un prete a motivo del suo ministero, perché curava i bambini e perché voleva i bambini lontani da una cultura di morte.