M.Michela Nicolais
Il tema della natalità è “centrale per tutti, soprattutto per il futuro dell’Italia e dell’Europa”. Intervenendo alla terza edizione degli Stati Generali della Natalità, Papa Francesco ha lanciato forti e chiari richiami alla politica, a partire dalla necessità di non contrapporre la natalità all’accoglienza, che “sono due facce della stessa medaglia”. “La nascita dei figli è l’indicatore principale per misurare la speranza di un popolo”, la tesi del Papa: “Se ne nascono pochi vuol dire che c’è poca speranza. E questo non ha solo ricadute dal punto di vista economico e sociale, ma mina la fiducia nell’avvenire”. Poi il riferimento alla situazione del nostro Paese: “Ho saputo che lo scorso anno l’Italia ha toccato il minimo storico di nascite: appena 393 mila nuovi nati. È un dato che rivela una grande preoccupazione per il domani”. “Metter su famiglia si sta trasformando in uno sforzo titanico”, la fotografia di Francesco, secondo il quale “sentirsi soli e costretti a contare esclusivamente sulle proprie forze è pericoloso: vuol dire erodere lentamente il vivere comune e rassegnarsi a esistenze solitarie, in cui ciascuno deve fare da sé. Con la conseguenza che solo i più ricchi possono permettersi, grazie alle loro risorse, maggiore libertà nello scegliere che forma dare alle proprie vite”. “E questo è ingiusto, oltre che umiliante”, ha commentato il Papa. Senza contare la situazione delle donne, vittime di “una cultura poco amica, se non nemica, della famiglia”.
“Le più danneggiate – ha spiegato – sono proprio loro, giovani donne spesso costrette al bivio tra carriera e maternità, oppure schiacciate dal peso della cura per le proprie famiglie, soprattutto in presenza di anziani fragili e persone non autonome”. “In questo momento le donne sono schiave di questa regola del lavoro selettivo, che impedisce poi la maternità”, ha denunciato a braccio parlando dei “condizionamenti quasi insormontabili per le donne”.
“Il mercato libero, senza gli indispensabili correttivi, diventa selvaggio e produce situazioni e disuguaglianze sempre più gravi”, il grido d’allarme dei Francesco, che ha parlato di un “futuro incerto, tra guerre, pandemie, spostamenti di massa e crisi climatiche” e ha fatto notare come in questo contesto di incertezza e fragilità, le giovani generazioni sperimentano più di tutti una sensazione di precarietà, per cui il domani sembra una montagna impossibile da scalare”. “Difficoltà a trovare un lavoro stabile, difficoltà a mantenerlo, case dal costo proibitivo, affitti alle stelle e salari insufficienti sono problemi reali”, l’analisi del Papa. “L’eroismo di tanti non può diventare una scusa per tutti”, ha osservato Francesco:
sulla famiglia “occorrono politiche lungimiranti”,
da mettere in cantiere “senza steccati ideologici e prese di posizioni preconcette”, se ci si vuole lasciare alle spalle questo “inverno demografico”. “Bisogna cambiare mentalità: la famiglia non è parte del problema, ma della sua soluzione”.
“Una comunità felice sviluppa naturalmente i desideri di generare e di integrare, mentre una società infelice si riduce a una somma di individui che cercano di difendere a tutti i costi quello che hanno”,
ha spiegato il Papa. “Non possiamo accettare che la nostra società smetta di essere generativa e degeneri nella tristezza”, il monito: “Non possiamo accettare passivamente che tanti giovani fatichino a concretizzare il loro sogno familiare e siano costretti ad abbassare l’asticella del desiderio, accontentandosi di surrogati privati e mediocri: fare soldi, puntare alla carriera, viaggiare, custodire gelosamente il tempo libero”. “Tutte cose buone e giuste quando rientrano in un progetto generativo, che dona vita attorno a sé e dopo di sé”, ha argomentato Francesco: “se invece rimangono solo aspirazioni individuali, inaridiscono nell’egoismo e portano a quella stanchezza interiore che anestetizza i grandi desideri e caratterizza la nostra società come società della stanchezza!”.
“Ridiamo fiato ai desideri di felicità dei giovani!”,
l’appello: “Ognuno di noi sperimenta qual è l’indice della propria felicità: quando ci sentiamo ripieni di qualcosa che genera speranza e riscalda l’animo, e viene spontaneo farne partecipi gli altri. Al contrario, quando siamo tristi ci difendiamo, ci chiudiamo e percepiamo tutto come una minaccia”. Per il Papa, “la sfida della natalità è questione di speranza”, che “non è un vago sentimento positivo sull’avvenire, è una virtù concreta e ha a che fare con scelte concrete”. In questa prospettiva,
“alimentare la speranza è un’azione sociale, intellettuale, artistica, politica nel senso più alto della parola; è mettere le proprie capacità e risorse al servizio del bene comune, è seminare futuro.
La speranza genera cambiamento e migliora l’avvenire”.
“Ridare impulso alla natalità vuol dire riparare le forme di esclusione sociale che stanno colpendo i giovani e il loro futuro”,
l’esortazione finale: “i figli non sono beni individuali, ma persone che contribuiscono alla crescita di tutti, apportando ricchezza umana e generazionale”. “Non rassegniamoci al grigiore e al pessimismo sterile”, l’appello: “Non crediamo che la storia sia già segnata, che non si possa fare nulla per invertire la tendenza. Perché è proprio nei deserti più aridi che Dio apre strade nuove. Cerchiamo insieme queste strade! La speranza, infatti, interpella a mettersi in moto per trovare soluzioni che diano forma a una società all’altezza del momento storico che stiamo vivendo, tempo di crisi attraversato da tante ingiustizie”. “A voi, che siete qui per trovare buone soluzioni, frutto della vostra professionalità e delle vostre competenze, vorrei dire: sentitevi chiamati al grande compito di rigenerare speranza, di avviare processi che diano slancio e vita all’Italia, all’Europa, al mondo”, l’augurio ai presenti.
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