È fortissimo l’impatto che le città messicane alla frontiera con gli Stati Uniti hanno dovuto subire negli ultimi giorni. Ieri, infatti, ha cessato di essere vigente il “Titolo 42”, il provvedimento preso dall’Amministrazione Trump e confermato inizialmente dall’Amministrazione Biden, che a causa dell’emergenza pandemica stabiliva di espellere i migranti irregolari che entravano nel Paese, a prescindere dal loro eventuale status di rifugiati. Una nuova legislazione torna a regolamentare le richieste di asilo, restringendone però i criteri. Negli ultimi giorni, perciò, in prossimità della cessazione del Titolo 42, una massa di migranti si è ammassata alle frontiere. Il Catholic relief services stima che alla frontiera messicana ci siano circa 55mila migranti, e a questi si aggiungono coloro che sono respinti dagli Usa. Una situazione che ha portato ieri il Servizio gesuita ai migranti dell’America Latina a lanciare un appello, che è stato sottoscritto da altre 65 organizzazioni (congregazioni religiose, ong, gruppi, associazioni) di tutto il Continente ed europee. “Le recenti decisioni degli Stati Uniti in merito alla cessazione del Titolo 42 (in vigore fino a giovedì 11 maggio 2023) e gli accordi con altri Paesi della regione stanno generando impatti importanti – si legge – che violano la garanzia dei diritti umani, in particolare il diritto di richiedere protezione internazionale. Queste decisioni colpiscono direttamente le persone e le comunità in situazioni di migrazione, rifugio e sfollamento forzato, poiché le circostanze che causano il loro spostamento aumentano e le politiche nazionali e regionali che tentano di gestire la migrazione la disumanizzano. Ciò che sta accadendo intorno alla finalizzazione del Titolo 42 è l’esempio più recente di tali politiche. Sulla base di queste politiche e del loro impatto nelle Americhe, le organizzazioni della società civile avvertono, attraverso il seguente comunicato, di alcune prevedibili implicazioni regionali di queste decisioni statali e governative”. La richiesta è quella di dare vita a “un lavoro congiunto e articolato con gli Stati per il recupero degli elevati standard della regione in termini di diritti umani e protezione internazionale, al fine di concordare risposte regionali incentrate su una migrazione informata, accompagnata e protetta, incentrata sulle persone e sui loro diritti”.

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