Hakamada Iwao, giapponese ormai quasi novantenne, ha trascorso 45 anni nel braccio della morte, per lo più in isolamento. Amnesty International segue la sua vicenda da decenni, perché Hakamada non solo è stato il prigioniero che ha trascorso più tempo al mondo in un braccio della morte, ma anche perché la sua è la condanna di un innocente.
Nel 1968 Hakamada è stato giudicato colpevole dell’omicidio del suo datore di lavoro, della moglie e dei loro due figli. Per i decenni successivi, ha lottato per dimostrare che la sua confessione di colpevolezza era stata estorta dopo interminabili interrogatori gestiti con costanti pestaggi e intimidazioni. Dopo alterne vicende giudiziarie, uscito dal braccio della morte nel 2014, finalmente nelle ultime settimane l’Alta Corte di Tokio ha ammesso che ha diritto a un nuovo processo.
“Proprio quando la Dichiarazione universale dei diritti umani compie 75 anni, la notizia della revisione del processo di Hakamada apre alla speranza di un lieto fine per questa storia lunga quasi mezzo secolo. Un lieto fine che è frutto anche dell’impegno incessante di Amnesty International contro la pena di morte e altre violazioni dei diritti umani”, si legge in una nota.
Per sostenere ogni giorno questo impegno, fondamentale è stato il supporto di chi negli anni ha donato all’organizzazione il suo 5×1000. “Per molti anni, attraverso il 5×1000 in favore di Amnesty International Italia, abbiamo finanziato iniziative, mobilitazioni, appelli ed eventi in favore di Hakamada Iwao. Anche grazie alle tante persone che hanno deciso di sostenerci in questo modo, finalmente ce l’abbiamo fatta”, dichiara Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia.
Proprio due giorni fa, martedì 16 maggio, l’organizzazione ha pubblicato il Rapporto annuale sulla pena di morte nel mondo. Dall’analisi di Amnesty International, emerge come il numero delle esecuzioni registrate nel 2022 sia il più alto da cinque anni. “Non si può mai accettare – spiega Noury – che lo Stato uccida per mostrare che non si deve uccidere. Ma quando a rischiare l’esecuzione è un innocente o addirittura viene messo a morte un innocente, è ancora più inaccettabile. Hakamada Iwao per ora è salvo. La vita di tante persone, condannate alla pena capitale per reati che non hanno commesso, è ancora in pericolo: come quella dello scienziato Ahmadreza Djajali, che da sette anni rischia l’impiccagione per ciò che non ha mai fatto: la spia”.