Luca Paone
Festa di Pentecoste. Gli Ebrei la chiamavano “festa della mietitura e dei primi frutti” e si celebrava il 50° giorno dopo la Pasqua ebraica e segnava l’inizio della mietitura del grano. Lo scopo originario di questa ricorrenza era ringraziare il Signore per i frutti della terra, cui si aggiungerà, tempo dopo, il ricordo del più grande dono fatto da Dio al popolo ebraico: la Legge mosaica sul Monte Sinai. Non sorprende dunque che molti autori spirituali abbiano ribadito che così come la legge di Mosè fu scritta da Dio sulle tavole di pietra, quella dell’Amore di Cristo sarà scritta dallo Spirito Santo nei cuori degli uomini, stravolgendo le loro vite con una irruenza tale da far dubitare gli osservatori e costringere Pietro a precisare che “questi uomini non sono ubriachi come voi sospettate, essendo appena le nove del mattino” (At. 2,15). Quella irruenza non fu un fatto esteriore né estemporaneo ma profondo e duraturo. Cambiò per sempre le vite dei primi credenti che da quel momento portarono a compimento, in modo spirituale, la festa “dei frutti della terra” manifestando nella loro vita frutti spirituali e carismatici in abbondanza. E una volta trasformati dal “fuoco dello Spirito” i discepoli, da dispersi e solitari in seguito alla passione del loro “maestro”, sono invasi da una forza opposta, che li spinge all’Unità e ad uscire con coraggio e che, sostenuta dalla Parola e accompagnata da segni e prodigi, sarà capace di attrarre, allora come oggi, uomini e donne di ogni razza, per questo capace di attrarre e precisamente di attrarre, allora come oggi, gli uomini e le donne di ogni tempo. Quell’unità che tanto avevano faticato a coltivare durante la vita terrena di Gesù, quell’incapacità di sottomettersi al fratello per il bene comune e per servirlo (Mc 9,34-35), diventerà per opera dello Spirito Santo desiderio del loro cuore, regalo e frutto della passione di Cristo. Non a caso Luca sottolinea che: “La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune. Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti godevano di grande favore. Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto” (At 4, 32-35).
Unità di intenti e condivisione dei beni, anche materiali, a servizio e a favore dei bisognosi. Ecco perché come membri di una Comunità di Alleanza del Rinnovamento Carismatico cattolico (Magnificat Dominum) poniamo dunque una particolare attenzione a questa festa, proprio perché ci invita a ricordare e a rinnovare il dono dello Spirito Santo che sperimentiamo nella nostra vocazione comunitaria, arricchita da doni e carismi necessari all’edificazione comune.
E al pari degli apostoli e dei discepoli di allora, anche noi, oggi, accogliamo questi frutti dello Spirito per essere Chiesa viva nella specifica chiamata della nostra vocazione comunitaria dove (ancora oggi) il Signore ci permette sperimentare una porzione di questa vita primigenia. Tramite la pratica di una vita sobria, improntata alla condivisione dei beni e non solo economici (case dove dormire e mangiare quando necessario, tempo, capacità personali), unita all’impegno costante a sostenere (anche spiritualmente) i fratelli in cammino, scopriamo la gioia del Signore nell’essere provvidenza gli uni per gli altri. Una vita condivisa, giorno dopo giorno, che trova annualmente il suo apice nel “campo comunitario”. Un tempo di vacanza, seppur particolare, durante il quale è ancora più possibile condividere: dal tempo passato in compagnia e in allegria a quello condiviso nella messa quotidiana, nella lode comunitaria e negli insegnamenti (At 2, 42). Tempo, per chi lo ha sperimentato, sempre nuovo e ricco di grazie particolari; tempo di servizio affinché nessuno resti nel bisogno; tempo di accoglienza dei nuovi e dei lontani; tempo di testimonianza della speranza e della gioia vissuta; tempo anche di verifica per comprendere la diversità del tuo “fratello”, della sua differente visione e organizzazione delle piccole cose quotidiane che ti invita a comprendere e a parlare la lingua dell’altro per mantenere l’armonia (At 2, 11).
Ed è Pentecoste quando tutto questo viene vissuto, non perché si deve, ma perché lo Spirito Santo, accolto nel cuore, ci muove e ci spinge. Non è la forza dell’uomo che celebriamo a Pentecoste ma il bisogno di chiedere a Dio, in ogni epoca e situazione, la forza dall’Alto perché tutto ciò avvenga ancora una volta nella Chiesa.
La vita comunitaria sarà dono per noi e per gli altri se vissuta come un fare memoria grata ed un allenamento alla chiamata della fraternità universale. Ogni dono pentecostale prende e mantiene vigore infatti quando è presente in noi la consapevolezza che la Pentecoste ci viene donata non per costruirci un neo giardino “privilegiato” ma per far partecipi tutti di questa vita nuova. Leggiamo infatti in At 2, 17: “Avverrà: negli ultimi giorni – dice Dio – su tutti effonderò il mio Spirito” e in At 2, 39: “Per voi infatti è la promessa e per i vostri figli e per tutti quelli che sono lontani, quanti ne chiamerà il Signore Dio nostro”. Una Parola che ci ha spinto ad uscire e ad allargare la nostra esperienza comunitaria in un’attività missionaria e di solidarietà, sia in Italia che all’estero. In particolare in Uganda dove ha preso piede un autentico dialogo ecumenico con i fratelli di diverse denominazioni cristiane. Ce lo ricorda Papa Francesco, nella enciclica “Fratelli tutti”, quando, a proposito del maestro cristiano della fraternità universale, Charles de Foucauld, indica in lui colui che voleva essere “in definitiva, il fratello universale” (287). Ma solo identificandosi con gli ultimi arrivò ad essere fratello di tutti. Che Dio ispiri questo ideale in ognuno di noi” (288).
E allora, facciamo nostre le parole del Santo Padre e preghiamo Dio in questa domenica dicendo: “Vieni Spirito Santo, dona al nostro cuore il desiderio di essere fratelli e i prossimi di tutti, perché possiamo sperimentare il prodigio dell’amore di Pentecoste ancora una volta”.