Gigliola Alfaro
L’emergenza maltempo che ha colpito in modo particolare la Romagna in questi giorni ha messo in luce un problema che accompagna da sempre l’Appennino: il fenomeno delle frane. Sono ancora isolate molte zone, dove ci sono abitazioni, aziende e allevamenti che ricevono rifornimenti con elicotteri. Di tutto questo parliamo con Paride Antolini, presidente dell’Ordine dei geologi dell’Emilia Romagna.
In questi giorni quante frane si sono registrate?
I dati ufficiali parlano di 370-380 frane, ma ogni sindaco dice che nel proprio comune ci sono centinaia di frane. Ci può essere anche una valutazione emotiva ma effettivamente le frane sono molte di più di 370-380:
siamo sicuramente oltre il migliaio,
perché le frane non sono solo quelle grandi, ma ce ne sono tante a bordo strada o che hanno distrutto porzioni di strada, ma per ripararle ci vogliono decine di migliaia di euro. Il discorso frane è ancora tutto aperto.
Si possono prevedere nuove frane anche a prescindere da ulteriori piogge?
Innanzitutto, ci sono territori che ancora non si riescono a raggiungere. Gli stessi sindaci dicono che ci sono delle frane attualmente in movimento.È chiaro che con il terreno così saturo e imbevuto di acqua è normale che ci sia qualche attivazione di versante di frana che non avevamo precedentemente visionato, magari c’erano i “sintomi” ma non c’era ancora lo scivolamento.Quindi, potranno esserci nuove frane, ma andando avanti, con il caldo estivo, il terreno si asciuga e la probabilità di manifestarsi di nuove frane diminuisce.
Ma erano prevedibili tutte queste frane?
Il nostro territorio ha già un dissesto idrogeologico in sé, bastano poche piogge, a volte anche dei temporali estivi, per assistere a erosioni di versante o a frane. Con una piovosità come quella che c’è stata, con due eventi successivi importanti del 2 e del 3 maggio e del 16 e del 17 maggio, questi terreni, che sono prevalentemente costituiti da argilla e da sabbia più o meno cementata, insieme all’acqua costituiscono un mix micidiale:piove, l’acqua si infiltra nel terreno attraverso la porosità, le fessure e le fratture che ci sono nello stesso terreno, scende in profondità, raggiunge determinate superfici e le lubrifica, satura il terreno, che aumenta di peso, e – non dimenticando che siamo su versanti in pendenza – tutto questo provoca la frana, che può essere piccola o anche molto grande.Le frane, infatti, sono di tanti tipi: una semplice colata o una grande frana che quasi non si vede a occhio nudo ma si muove lentamente.
In un territorio così a rischio si fa normalmente prevenzione?
Questo è un territorio dove c’è tanto rischio idrogeologico, vengono fatti in continuazione tanti lavori. In montagna per prevenire le frane si devono fare fossi che regimano le acque: fossi sia nelle aree agricole sia nelle stradine di campagna. Allontanare le acque dalle zone di versanti critiche è la prima azione da compiere.
Il fosso è la prima prevenzione: deve scolare bene, l’acqua non deve ristagnare.
Meno acqua buttiamo nel terreno e meglio è.
Ma c’è stata prevenzione in passato?
Per quanto riguarda l’agricoltura negli ultimi anni ci sono state modalità di coltivazione che non aiutano a combattere il dissesto idrogeologico: mi riferisco alla coltivazione intensiva, alle lavorazioni che vengono fatte su estensioni vaste anche in collina, perché ormai si ragiona in termini di quantità e mai di qualità.Non c’è più il contadino che va in montagna con la zappa a sistemare i fossi, a pulirli, a svuotare i ristagni di acqua; ormai si lavora con i trattori, si predilige un lavoro che deve costare poco e produrre molto.Per quanto riguarda la viabilità, i Comuni non hanno più i cantonieri che si occupano della manutenzione continua girando per le strade con il badile a manutenere quei piccoli dissesti.A volte tamponare determinate situazioni e curare la regimazione delle acque nelle piccole strade può aiutare. Adesso, invece, questo tipo di lavoro si dà in appalto, si fanno i fossi una o due volte all’anno. Se nel frattempo il fosso si chiude, comunque si deve aspettare l’intervento successivo della ditta che ha preso in appalto l’esecuzione dei lavori. Queste sono le piccole opere. Poi in montagna ogni volta che si interviene per sistemare una strada sono necessari moltissimi soldi: se una strada crolla per un piccolo tratto di pochi metri, dal lato mare, come di solito avviene, e metà corsia sparisce, intervenire e fare opere strutturali per ripristinare la viabilità richiede davvero tanto danaro, ma i piccoli Comuni non hanno tante risorse per affrontare il problema.
Questa emergenza può essere l’occasione per fare tante opere di cui si beneficeranno i territori.
Quando piove così tanto in un territorio così fragile i danni sono ingentissimi. D’altra parte, era impossibile eventi così estremi e, onestamente, era impossibile anche mettere in sicurezza tutto il territorio.
Ma si riuscirà a ripristinare la situazione a com’era prima del maltempo e delle frane?
No. In alcuni casi si dovranno cambiare i tracciati delle strade, quando si valuterà che alcune strade non sono recuperabili e quindi per alcuni chilometri il tracciato andrà fatto altrove. D’altra parte, la storia dell’Appennino e delle frane va di pari passo.
Le frane sono sempre state nella storia un elemento caratterizzante del nostro Appennino,
in passato in corrispondenza di eventi climatici eccezionali: se andiamo a vedere nella storicità finché ci sono i documenti che ce lo attestano quando ci sono piovosità del genere avvengono sempre grossissime frane. L’ultima grossa piovosità che abbiamo avuto in Romagna con le piogge del 1939 hanno provocato altrettante importanti frane, anche nell’Ottocento abbiamo avuto grandi frane in corrispondenza di periodi particolarmente piovosi.
Ora ci vorrà una forte spesa per ripristinare o fare nuovi tracciati di strade?
Assolutamente molto grossa.Certe strade, che erano molto vicine a un fiume e sono state erose, sarebbe meglio non rifarle dove si trovano adesso.Inoltre, dobbiamo ricordare che a parte la viabilità principale, la provinciale e la statale, sono tutte strade che in passato erano mulattiere: prima ci passava il cavallo o il mulo, poi sono state allargate per la carrozza, alla fine allargate ancor di più per il camion. Quindi, nel tempo hanno subito diverse modifiche.
Che tipo di lavori si dovranno fare ora per superare questa emergenza?
Nell’immediato, dove si può, si ripristina la viabilità intervenendo su tutte quelle frane piccole di scarpate che hanno occupato la carreggiata, pulendo con la ruspa e riaprendo le strade.Non dimentichiamo che ci sono abitazioni, aziende e allevamenti che sono ancora isolati. Vengono riforniti con gli elicotteri sia gli alimenti per chi abita in quelle zone sia il mangime e il fieno per gli animali degli allevamenti. Siamo ancora in piena emergenza e non si potrà andare avanti sempre con gli elicotteri, quindi gli interventi più urgenti sono quelli per raggiungere le zone isolate.In un secondo momento ci vorrà un grosso lavoro di progettazione sia per mettere in sicurezza le scarpate, sia per progettare piccoli tratti che si sono rotti per le frane, sia per progettare percorsi più ampi.
E quanto ci vorrà per ripristinare la situazione?
Anni e anni. Bisogna considerare, infatti, anche il lavoro di sistemazione dei fiumi, si dovranno allargare gli argini, rifarli. Ci sarà lavoro di progettazione per un’intera generazione.
Teme che finita l’emergenza si spengano i riflettori sulla Romagna?
Adesso c’è una grande attenzione, ma sono convinto che finita l’emergenza ci dimenticheremo di quello che è successo.Ogni Governo, a prescindere dal colore politico, quando avviene un fatto eclatante come è successo adesso in Romagna, sventola la bandiera contro il dissesto idrogeologico, ma poi, finita l’emergenza, cessa il vento che fa sventolare quella bandiera.
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