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Trent’anni fa i Georgofili

(Foto ANSA/SIR)

Maurizio Maleci

Nella notte tra il 26 e il 27 maggio 1993, libero dal servizio, vengo chiamato per andare a documentare un’esplosione di gas. Quando arrivo in caserma quasi tutti i veicoli di soccorso sono usciti, io vengo inviato verso Piazza della Signoria e all’arrivo in via de’ Georgofili, illuminata dalle nostre fotoelettriche, sulla sinistra vedo un enorme cumulo di macerie, sulla destra una casa sventrata da cui esce fumo con, all’interno, ancora le fiamme. Nell’aria c’è un silenzio surreale, molto strano, gli effetti di quest’esplosione non sono consueti.

Qualche pensiero strano si affaccia nella testa dei pompieri: e se fosse stato qualcosa di diverso?

Ma vengono subito ricacciati indietro, no, non può essere, il centro di Firenze, la culla della cultura rinascimentale, un qualcosa di diverso da una fuga di gas, no, non è possibile, da pompieri e da pompieri fiorentini questo non è accettabile.

All’improvviso i vigili urbani avvisano che nella Torre del Pulci, sede dell’Accademia dei Georgofili, all’ultimo piano c’era un appartamento, ci abitava un loro collega, Fabrizio Nencioni, con la moglie Angela, custode dell’edificio, e le due figlie. A questa notizia i vigili del fuoco si avventano sulle macerie per ricercare eventuali superstiti, sullo sfondo vedo alcuni finestroni degli Uffizi scardinati, siamo nella zona da cui poi, per lo scalone, ci si avvia verso il Corridoio Vasariano. Nell’edificio davanti alla Torre, terminate le operazioni di spegnimento, in mezzo alle macerie, sotto a una finestra, viene trovato un corpo, purtroppo non c’è più niente da fare, è completamente carbonizzato e verrà recuperato più tardi, adesso tutti a scavare tra le macerie della Torre da dove iniziano ad affiorare le cose che si trovavano dentro l’appartamento, tra queste un passeggino. Il funzionario dei vigili del fuoco, dopo una breve ricognizione, afferma:

“È stata una bomba, un’autobomba!”.

Gli oscuri presagi che si agitavano nelle teste dei vigili del fuoco ritornano fuori e si concretizzano, ma chi? Perché? Perché proprio qui? E chi può essere stato? Purtroppo, dalle macerie si estrae il corpo senza vita di Nadia, la figlia maggiore, 9 anni, poi all’improvviso un sussulto, si trova il corpicino della bambina più piccola, Caterina, di soli 50 giorni, sembra viva, forse abbiamo salvato qualcuno! Con una delicatezza estrema, la piccola viene raccolta, viene data a Gianni, uno dei nostri sommozzatori, che, con il fagottino in mano, corre verso l’ambulanza, che parte, ma subito dopo si ferma: la piccola Caterina è morta.

Intorno alle cinque mi chiedono di riprendere quello che è successo all’interno degli Uffizi, assieme ai custodi vado all’interno e arrivati sul lato che si affaccia su via dei Georgofili, trovo materiali a terra, opere d’arte danneggiate, gravemente danneggiate! Con la luce fioca di una torcia a batterie ormai scarica riprendo in tutta la tragicità gli effetti dell’esplosione. Proseguiamo verso il Corridoio Vasariano, all’interno, a terra, i vetri delle finestre, l’onda d’urto, da via dei Georgofili, è passata sotto l’Arco delle Carrozze, dall’Arno è risalita ed è rientrata verso l’interno. Il mio compito all’interno del museo è terminato e allora ritorno in via dei Georgofili, giusto in tempo, mentre inizia ad albeggiare, per riprendere il recupero del corpo dello studente di architettura venuto a studiare a Firenze da Sarzana, Dario Capolicchio: ucciso dall’esplosione e dalla fiammata che l’ha accompagnata. A questo punto non ci sono, più persone da cercare, i superstiti sono stati portati in salvo e i cinque deceduti recuperati.Arriva il cambio del personale, io vengo sostituito da un altro collega della documentazione, un breve salto a casa per rassicurare la moglie, non serve raccontarle niente perché ormai le edizioni speciali di tutti i notiziari stanno già dando conto dell’accaduto e poi nuovamente sul posto a documentare, non sono stanco, io non ho scavato, non ho dovuto durare fatica, solo emozioni e gli occhi rossi per la polvere e le lacrime.

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