Di Ana Fron, Rubrica “Immigrazione”
Leggi la prima puntata: Quanti immigrati ci sono nel territorio della diocesi?
Leggi la seconda puntata: Immigrati e cure mediche – Informazioni utili
Leggi la terza puntata: Diocesi di San Benedetto, gli immigrati residenti sono 13.588, le nazionalità presenti nei vari comuni
Leggi la quarta puntata: Ana Fron: “La gratitudine”
Leggi la quinta puntata: Partenza senza arrivo
Leggi la sesta puntata: Le badanti e la loro condizione di vita
Leggi la settimana puntata: Considerazioni sulla Scuola e l’abbandono scolastico
Leggi l’ottava puntata: San Benedetto, Ana Fron: l’importanza della Comunicazione Interculturale
Leggi la nona puntata: I Sambenedettesi seguono con attenzione il caso di Omnia
Leggi la decima puntata: Ana Fron: “Zingaro!”
Leggi l’undicesima puntata: Ana Fron: “Gli stranieri ci rubano il lavoro?”
Leggi la dodicesima puntata: Monteprandone, intervista a Eldira: Vi racconto la mia storia
Leggi la tredicesima puntata: Ana Fron: “Odio razziale tra adolescenti: cause e soluzioni possibili”_
Leggi la quattordicesima puntata: Grottammare, la storia di Helena Trentin “Ho un solo ricordo spiacevole che mi è rimasto impresso”
È vero, l’Italia si sta spopolando, ma per esortare le coppie alla procreazione, c’è bisogno di condizioni favorevoli.
Servono asili nido, buone scuole; serve lavoro e soprattutto serve la speranza in un futuro, di pace perlomeno.
Non serve un richiamo alla tutela dell’etnia italiana.
Disapprovare quest’idea è d’obbligo. E questo perché la storia stessa delle origini del popolo italiano insegna che non esiste un’etnia italiana. Gli italiani sono il risultato di discendenze genetiche eterogenee. Arabi, greci, normanni, slavi, etruschi, galli, celti, longobardi, germanici, albanesi, ispanici, ed altro, arrivati nel tempo su questa terra si sono mischiati creando una moltitudine di caratteri.
L’antropologo Giovanni Destro Bisol de La Sapienza di Roma, in una sua ricerca “Sull’isolamento genetico geografico e linguistico”, eseguita in collaborazione con le Università di Pisa, Bologna e Cagliari, afferma che le differenze genetiche tra gli italiani sono fino a 30 volte maggiori rispetto ad altri popoli europei.
Ulteriori differenze sono determinate dalla varietà morfologica e climatica dell’Italia. Ambienti diversi determinano caratteri diversi. Da considerare in questo contesto anche la cultura. Gli italiani sono possessori di numerose culture, diverse da una zona ad un’altra; sul territorio italiano esistono 12 minoranze linguistiche riconosciute dallo stato.
Ma proprio questo ibrido ha formato il popolo italiano così come oggi lo conosciamo: forte, bello, creativo e pacifico.
Il mondo si sa, gira a modo suo, ma alcune cose le possiamo gestire e contribuire al benessere di tutte le genti. A volte accogliere immigrati è l’unica soluzione a problemi demografici che viviamo. Una soluzione fattibile di cui non bisogna avere paura. Dopotutto, l’importante è che siano dei bravi cittadini, rispettosi della legge e della cultura altrui; delle persone responsabili, lavoratrici, e con grande senso del bene comune e della “patria”.
Ma non intendo mettere in evidenza cose già ovvie. Sarebbe banale e mancherei di rispetto ai miei lettori. Vorrei illustrare come il sentimento della “patria” può essere forte in molti di noi, a prescindere dal luogo di nascita. Il sentimento di “attaccamento” si sviluppa nei confronti del luogo dove assapori momenti felici e tranquilli, dove trovi accettazione, dove ti puoi realizzare come persona e produrre benessere per te e per gli altri. In altri termini chiami “patria” il luogo dove edifichi la tua vita facendolo diventare il posto dell’anima. Inizi a sentire che ti appartiene e lotteresti con tutto te stesso per difenderlo.
Tutti noi abbiamo viaggiato e conosciuto luoghi dove ci siamo sentiti più o meno bene. Ci sono italiani che preferiscono l’estero e stranieri che si sentono a casa in Italia.
Io stessa, partita da anni dalla Romania, oggi mi sento ambientata in Italia. Leggi, cultura: lingua, cucina, musica, gente e ambienti naturali, mi sono propri. Mi piace tanto la citta di Roma, dove ho studiato. Mi piace rivisitarla ogni qualvolta ne ho l’occasione. Conosco molte vie centrali che percorro a piedi, con lo sguardo perso nelle vetrine delle vecchie botteghe. Adoro la voce di Battiato, soprattutto quando interpreta Era di maggio; amo le canzoni cantate nei dialetti. Cucino pizza Margherita, lasagne e ragù. Parlo con gli amici da un balcone ad un altro chiedendogli ‘ndo vai? Vivo con apprensione le partite di calcio, tifando la nazionale italiana, ma anche quella rumena (ahimè, carente ultimamente).
Eppure, altri stranieri fanno meglio e di più che limitarsi all’assimilazione culturale di cui mi sento personalmente protagonista.
Porto come esempio le gesta del trentenne nigeriano Ehigiator e del ventunenne senegalese Cissokho, che poco tempo fa hanno salvato dall’annegamento due persone. Ousmane Cissokho, una mattina presto, mentre andava a lavorare, vede un anziano buttarsi nel Brenta. In un lampo si sveste e si butta nelle gelide acque per riportarlo a riva. In seguito, come niente fosse, si riveste e va al lavoro. Entrambi i ragazzi sono (all’epoca dei fatti) “clandestini”.
Sicuramente, nel momento del bisogno, i due malcapitati precipitati in acqua, non hanno considerato l’etnia dei loro salvatori ma la loro disponibilità ed il loro coraggio. Sono stati felici di aver incontrato un Ousmane e un Solomon di sicuro.
Le storie, con valore civile da parte di stranieri, sono tante.
Raccontano di gesti grandi oppure piccoli, (vedi l’arrivo, in una chiesa cattolica, di alcuni arabi musulmani che hanno aiutato a spalare il fango portato dall’alluvione nell’Emilia Romagna) ma sempre indispensabili per il buon vivere.
Tanti stranieri, a fatica e nel tempo, tentano di ambientarsi nel contesto sociale italiano, diventando tutt’uno con la comunità fino a quando qualcuno gli ricorda di “non fare parte della famiglia”; di quella italiana. Costoro si assumono una grande responsabilità: quella di disunire le persone e creare malcontenti (ben che vada!).