Una storia bella e ricca, di cui oggi ricordiamo l’anniversario della dipartita, è quella della Venerabile Enrichetta Beltrame Quattrocchi (6 aprile 1914 – 16 giugno 2012). La Provvidenza fa sorgere sulla via persone che nell’essere pienamente se stesse, si fanno capaci di liberare altri e di aiutarli ad attingere dalla ricchezza che hanno nel cuore. Nella vita della Venerabile, non vi è nulla di indeterminato, nulla di confuso. Se ella rimane incerta al lungo su che cosa debba fare, se sposarsi o diventare religiosa, ciò non è dovuto al fatto che il suo sguardo e la sua volontà non siano chiari, ma perché ella pensa e agisce sempre solo attingendo alla vita stessa nel suo crescere. Infatti, non appena dall’interno del suo animo gli si schiude qualcosa, gli si presenta con tutta chiarezza e allora ciò che ella ha accolto e concepito nel cuore e nella volontà assume subito la forma più pura come offerta al Signore. In questo senso la sua vita fu un’eterna peregrinazione, un viaggio nell’inaudito, che ci rivela la grandezza di questa donna, la profondità della sua vita spirituale. Allegra, vivace, graziosa, semplice, vera, libera, ospitale, prodiga fino alla follia. Da Enrichetta si poteva andare in qualsiasi momento. Ascoltava con devozione, come il Vangelo, ed era tutta a “disposizione”.

(Foto: Massimiliano Noviello)

Ci troviamo, dunque, di fronte alla vita di una donna che si fa per noi modello di vita. Era come un braciere che ardeva in un contenitore fragile. La sua salute, infatti, era fragile e cagionevole, ma accettò tutto come volontà di Dio. Aveva una grande forza di comprensione, era infinitamente sensibile; ma ogni comprendere è un com-patire, un condividere la sofferenza, parafrasando San Francesco d’Assisi, uno sa unicamente tanto quanto ha sofferto; comunicava pace e stimolava a irradiarla e questo perché aveva un cuore buono. Giuseppe Prezzolini, giornalista e scrittore, rispose a Papa Paolo VI che gli chiedeva consigli per entrare in dialogo con i non credenti e per rendere credibile la Chiesa ai contemporanei, in questi termini: «Non c’è che un mezzo, Santità, gli uomini di Chiesa debbono essere soprattutto buoni e mirare a uno scopo soltanto che è creare uomini buoni. Non c’è nulla che attiri come la bontà. Perché di nulla noi increduli siamo tanto privi. Di gente intelligente il mondo è pieno. Quello che ci manca è la gente buona. Formarla è riattrarre gli uomini al Vangelo. Tutto il resto è secondario».
Ma la bontà, che raggiunge vette eroiche, nasce in Enrichetta da una volontà tenace. Ella l’ha ereditata e l’ha coltivata sin dai primi anni con quello spirito di sacrificio, che è un sacrum facere, come in una liturgia esistenziale. La forza della sua volontà la rendeva esigente con sé stessa, comprensiva con gli altri, anche con i più indiscreti. Proprio come un frutto maturo, dolce all’esterno ma col nocciolo duro all’interno.
Il segreto di tutto questo era una profonda vita di fede. Ella viveva «come se vedesse l’Invisibile» (Eb. 11, 23). A vederla si notava che era tutta sinceramente interessata all’interlocutore esterno, ma anche tutta assorta nel suo Interlocutore inabitante. Fino a pochi istanti prima di ritornare alla Casa del Padre, con la caratteristica lucidità, rispondeva dopo aver come sempre fatto per tutta la sua lunga vita, attentamente ascoltato. È questa la radice della sua forza e della sua speranza anche nei momenti di più cruda sofferenza fisica e morale. Quando si accettano dalle mani di Dio sia le grazie dolci che le grazie dure, si sperimentano assaggi del cielo e si paga il prezzo del cielo. Come S. Teresa di Lisieux, con la cui spiritualità si sentiva in sintonia, si abbandonò alla volontà di Dio con grande serenità. La vita di questa gigante del Vangelo è un forte richiamo a ridare protagonismo al Battesimo, cioè a quella radice cristiana che è alla base di ogni credente. Non è un’esperienza che diventa vera solo in forza del sacerdozio o di una vocazione religiosa, ma riscopre la forza universale del battesimo. Proprio per questo è un cammino aperto a tutti e chiede una forte assunzione di responsabilità ai laici. Se guardiamo alla figura dei profeti come la Bibbia ce li racconta, ci troviamo davanti non a figure equilibrate ma fortemente intransigenti e quindi portatori di uno squilibrio che in fondo è l’alfabeto attraverso cui Dio ha parlato al suo popolo ed è entrato nella storia della salvezza. Le persone che si lasciano guidare dallo spirito difficilmente possono essere rinchiuse in uno schema.


La Venerabile Enrichetta è una donna attraversata dallo Spirito e proprio per questo è una donna libera, non incasellabile, ella riconduce le questioni alla loro radice ultima, vede tutto nella luce dello Spirito di Dio, ha fatto la sintesi interiore tra la contemplazione e l’azione, tra la fede e la vita, tra la tradizione e la modernità, ha realizzato quello che il Concilio Vaticano II chiama «unità di vita». A volte nella Chiesa si preferisce una “pastorale di intrattenimento” piuttosto che un’azione che aiuti le persone ad arrivare alla radicalità di una domanda su di sé e quindi a scoprire l’utilità della fede. Il dialogo non si fa perché vogliamo essere seducenti nei confronti del mondo ma perché, come dice San Paolo, “tutto è stato fatto per mezzo di Lui e in vista di Lui”, quindi non c’è nulla dell’esperienza umana e delle culture che non abbia a che fare con Cristo. Per questo è possibile dialogare con tutti.
Il tema della Chiesa in uscita che Papa Francesco sottolinea fortemente è stato vissuto dalla Venerabile attraverso la valorizzazione dell’amicizia, intesa come “farsi” casa per l’altro ove ci si sentiva accolti per quello che si è, con i propri limiti e i propri pregi. Sapeva farsi amica con quell’atteggiamento accogliente che metteva a proprio agio colui che la andava a visitare. Tutto la interessava dell’altro del quale coglieva il bene anche minimo per valorizzarlo. Sapeva trasmettere la speranza e non si sottraeva alla relazione con l’amico anche nei momenti più dolorosi quando il suo fisico era flagellato dal male incurabile. Amava “con viscere materne”, e tutto con somma discrezione, perciò era facile spalancargli il cuore. L’amicizia è sempre in uscita, voler bene è sempre un esodo, è venir fuori dalla solitudine dell’io per andare incontro all’altro. Enrichetta ha educato a questo esodo, e quando il singolo battezzato vive in uscita, tutta la Chiesa si educa a vivere questo esodo verso l’altro. La Chiesa non è un guscio ma un arco che si proietta in avanti. Non è un porto rassicurante che mette al riparo dal mare aperto, al contrario, e sentirsi talmente appartenente a Qualcuno da poter prendere il mare aperto e andare fino alle periferie geografiche ed esistenziali. Enrichetta ha generato gente così! Per la Venerabile occorre non salvare solo se stessi, ma anche gli altri.
Scrive Péguy: «Non si deve salvare la propria anima come si salva un tesoro – dirà in Il mistero della carità di Giovanna d’Arco -. La si deve salvare come si perde un tesoro. Con il buttarla via. Noi ci dobbiamo salvare insieme. Noi dobbiamo arrivare presso il buon Dio insieme. Che cosa direbbe se arrivassimo presso di lui, arrivassimo a casa senza gli altri».
Questa ricca e significativa partecipazione di tanti nel voler ringraziare la dolce Trinità per il dono che ha fatto alla Chiesa e al mondo della Venerabile Enrichetta, manifesta la sua grande forza di attrazione, perché una vita bella e buona è contagiosa; il crescente desiderio di conoscere la sua vita, il suo operato e la sua spiritualità; ma anche il bisogno di invocare la sua potente intercessione presso Dio per ottenere le grazie necessarie di cui si ha bisogno.

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