Patrizia Caiffa
“Come è stato possibile?”. È questa grande, tormentata domanda, che risuona in questi giorni tra gli operatori umanitari greci dopo il naufragio della settimana scorsa, vicino alle coste del Peloponneso, del peschereccio con a bordo oltre 750 persone: 104 i sopravvissuti accolti nella città di Kalamata, 82 finora corpi recuperati e almeno 600 dispersi (tra cui un centinaio di bambini e 300 persone di nazionalità pakistana). Se lo chiede Maria Alverti, direttrice di Caritas Hellas (la Caritas greca), mentre affiorano controverse ricostruzioni della vicenda: “Penso sia il peggior naufragio in tutto il Mediterraneo – dice al Sir –. La cosa scioccante non riguarda solo il numero di persone morte tutte insieme ma il fatto che potevano essere salvate”.
Una vicenda controversa. Secondo i superstiti e alcuni video resi noti dai media internazionali l’imbarcazione sovraffollata non si sarebbe mossa per almeno 7 ore. Appena la nave si è ribaltata la guardia costiera greca si sarebbe allontanata per poi tornare dieci minuti dopo con dei barchini per aiutare chi cercava di mettersi in salvo a nuoto. La guardia costiera greca respinge le accuse sostenendo che le persone dicevano di voler andare in Italia e di rifiutare i soccorsi. Intanto nel Mediterraneo si continua a morire: la scorsa notte al largo di Lampedusa è affondato un barchino con 44 migranti, fra cui 6 donne (una incinta), tratti in salvo da una motovedetta della Guardia costiera italiana. A bordo, secondo i superstiti, ci sarebbero state altre 3 persone che al momento risultano disperse. Anche al largo del Marocco, secondo Alarm Phone, 24 persone di una barca alla deriva con 59 migranti, 3 morti a bordo e acqua che entrava nello scafo, sono state salvate dalla marina marocchina. Almeno 35 persone risultano ancora disperse. La barca era partita da Agadir, città costiera del Marocco, ed era diretta in Spagna. La piccola Caritas Hellas, molto attiva con un centro per rifugiati nella cittadina di Mitilene nell’isola di Lesbo, non è però presente con sedi Caritas e volontari a Kalamata e nel sud della Grecia. I sopravvissuti al naufragio sono stati aiutati dalla protezione civile locale e trasferiti nelle strutture governative per rifugiati.
Qual è la posizione della Caritas greca in merito al naufragio?
Siamo in campagna elettorale (domenica ci saranno le elezioni politiche, ndr), c’è un forte dibattito interno tra governo e opposizioni e non vogliamo identificarci con gli uni o gli altri. La nostra è solo una prospettiva umanitaria. Il naufragio però solleva molte domande. Siamo molto addolorati e scioccati e ci chiediamo
come è stato possibile che accadesse con tante navi intorno e di giorno. Di solito i naufragi succedono quando non ci sono imbarcazioni vicine e nel mezzo della notte.
Nessuno lo sa. La più grande domanda è: come è stato possibile? La guardia costiera dice che le persone volevano andare in Italia e hanno rifiutato l’aiuto ma quando le persone sono in pericolo non è importante quello che dicono! Qualcuno avrebbe dovuto fare qualcosa. Se questa imbarcazione fosse stata piena di turisti o di studenti e persa nel mare non l’aiuteremmo solo perché a parole dicono di non avere bisogno di aiuto? Ci sono video pubblicati dalla Bcc che dimostrano che il peschereccio è stato fermo in quel tratto di mare per sette ore. Ci chiediamo anche: se le persone fossero rimaste vive, quali Paesi europei se ne sarebbero fatte carico? Questo accade spesso. Esprimiamo tristezza, proclamiamo il lutto nazionale ma la triste verità è che nessun Paese li vuole.
È il peggior naufragio nella storia della Grecia?
Penso sia il peggior naufragio in tutto il Mediterraneo. La cosa scioccante non riguarda solo il numero di persone morte tutte insieme ma il fatto che potevano essere salvate.
Siamo anche perplessi sui 9 presunti trafficanti arrestati, che si dichiarano innocenti, e mi chiedo: se fossero stati colpevoli si sarebbero imbarcati anche loro, rischiando di morire?
In questi giorni c’è grande enfasi a livello mediatico sulle operazioni di soccorso per salvare, giustamente, i cinque miliardari del Titan, il sommergibile sparito due giorni fa nel Nord Atlantico. Cinque navi si trovano ora sul luogo del naufragio del Titanic, altre quattro stanno arrivando. Del naufragio in Grecia si è parlato invece pochissimo e sui social è scoppiata la polemica per l’indifferenza che procurano le morti nel Mediterraneo rispetto ad altre. Che ne pensa?
Possiamo anche fare un paragone con la guerra in Ucraina: perché un approccio differente per gli europei e per persone di origine diversa, provenienti dal Medio Oriente o dall’Africa? Con i profughi ucraini abbiamo constatato che l’accoglienza è possibile, è stato un ottimo esempio, una buona pratica da seguire. Dipende molto se le persone in pericolo sono cittadini del governo che dovrebbe salvarli. Non so se dipende dal biglietto di 250.000 dollari pagato dai miliardari rispetto ai 5/6.000 euro per il viaggio della speranza ma la domanda non può essere che una: perché?
Ci chiediamo: e se il peschereccio naufragato fosse stato carico di turisti europei a pesca? Li avremmo lasciati al loro destino senza dare aiuto? O avremmo offerto i soccorsi a metà?
C’è ancora fiato per un appello all’Europa? Sembra che l’unica preoccupazione sia fare accordi con i Paesi di transito e partenza per esternalizzare le frontiere.
Esatto, questo accade da sempre. C’è una chiara direttiva di lasciare le persone alle frontiere ma questo è un problema greco, italiano, spagnolo, non dell’Unione europea. Nessuno pensa che chi parte mette a rischio la vita solo perché è già in pericolo e non può entrare in maniera regolare. Siamo anche noi parte dell’Europa ma apparentemente nessun membro dell’Ue sta adottando un approccio diverso: è come se facessimo appello a qualcosa di esterno a noi.
Si parla tanto di umanità, solidarietà, rispetto, democrazia ma sono valori che valgono solo per noi, non per gli altri.