Giovanni Baggio
Quando sentiamo dire o usiamo la parola “guerra” ricorriamo al nostro immaginario per riempirla di significato. E così facciamo per ogni parola: ce le figuriamo con immagini e così possiamo “vederle” oltre che sentirle. E questi processi cognitivi garantiscono quanto serve all’umana comprensione del linguaggio.
Ciascuno di noi si è formato nel tempo quel bagaglio di immagini che servono a “rendere visibili” e quindi comprensibili le nostre parole, tutte le parole.
Le immagini a “corredo” delle parole le abbiamo costruite per esperienza diretta, altre si sono fissate nella nostra mente in modo indiretto, altre tramite racconti, letture, visione di film, documentari, foto, video ecc.
Di fronte alle immagini circolate sui social che “visualizzano” l’assalto nella trincea russa da parte di soldati ucraini, è lecita la domanda: hanno qualche utilità al fine di meglio capire la parola “guerra” e tutta la violenza che questa parola porta dentro di sé? L’esibizione barbara e compiaciuta dell’abbattimento del nemico colto di sorpresa, della morte in diretta e del terrore hanno qualche utilità?
Forse ci rappresentano la brutalità a cui la guerra costringe. Forse ci racconta della morte che irrompe fulminea e spietata, con la terrificante realtà dei “caduti” senza volto.
Dopo mesi di guerra raccontata e vista ogni giorno, non ne avevamo certo una idea diversa e queste immagini dure, fredde, micidiali forse sono davvero inutili, proprio come la guerra e ancora una volta di più ci chiedono di bandirla, perché rende indegni di essere uomini, che costringe a filmare lo “spettacolo” in questa trincea del terzo millennio con una diretta volgare che nessuna ragione può accettare.
Se queste immagini di realtà possano contribuire ad una nuova consapevolezza, ad una nuova sensibilità, ad una “visione” ancora più nitida dello scempio che la parola “guerra” nasconde dentro di sé, posso augurarlo a ciascuno “spettatore”, nella speranza che non prevalga la curiosità, la morbosità, la normalizzazione scontata e superficiale che ci fa passare al prossimo video, con noncuranza, con leggerezza.
È proprio questo il rischio dell’invasione di immagini, anche di quelle più atroci. Passiamo oltre, perché vogliamo guadare con quella frenesia a cui ci siamo adeguati e per la quale siamo serviti con sovrabbondante quantità ogni giorno. Overdose per gli occhi, annichilimento del cuore e del pensiero.
Perché ha responsabilità chi produce immagini, chi le fa circolare sulle più diverse piattaforme, ma ha altrettanta responsabilità, come ultimo argine contro l’inciviltà, anche chi sceglie di guardare e “passa oltre”, movimento che il Vangelo ci illustra essere quel modo inumano di essere spettatore della disgrazia altrui, senza sentirsi coinvolti, toccati, talmente in causa da farsi carico e occuparsi e preoccuparsi.
Ed ovviamente affiorano domande inquietanti sulle ragioni per cui si producono immagini come queste, domande sull’effetto che possono produrre nelle coscienze fragili, sugli esordienti nella vita, su chi ha già deciso torti e ragioni. Domande: ecco almeno queste speriamo rimangano.