Riccardo Benotti
“Se si fatica ancora a mettere a frutto le indicazioni del Concilio, è perché il processo avviato ha bisogno di tempi lunghi. Il Sinodo ecclesiale potrebbe accorciarli”. Padre Vito Magno, sacerdote rogazionista e giornalista, è l’autore del volume “Conversione sinodale” (San Paolo), nel quale ha raccolto le interviste realizzate in 50 anni di attività giornalistica alle più grandi personalità del dopo Concilio.
Mezzo secolo di interviste che aiutano a comprendere l’eredità del Concilio Vaticano II. A che punto siamo?
“Già e non ancora!”. Condivido l’eufemismo di mons. Luigi Bettazzi, l’ultimo dei Padri conciliari viventi, nell’intervista che introduce il libro. Molte cose si sono fatte in sessanta anni nel campo della liturgia, della carità, dell’ecumenismo, delle comunicazioni sociali, molte restano da fare in quello della Parola di Dio, dei ministeri ecclesiali e in particolare del coinvolgimento dei laici nella vita della Chiesa.
Ha raccolto l’impressione di una Chiesa in uscita? O si fatica ancora a mettere a frutto gli insegnamenti del Concilio e le indicazioni di Francesco?
Questo libro non è un album di ricordi, ma di testimonianze. Ho perciò raccolto le esperienze della “Chiesa in uscita” attraverso i racconti dei miei interlocutori. Se si fatica ancora a mettere a frutto le indicazioni del Concilio, è perché il processo avviato ha bisogno di tempi lunghi. Il Sinodo ecclesiale potrebbe accorciarli.
“Uscire” significa abbandonare un luogo chiuso per avventurarsi su nuove strade. Il post-concilio, che è stato ricco di pionieri in questo senso, non è stato un periodo vuoto.
“Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare” dice un proverbio! Tra il Concilio e il Sinodo ecclesiale un consistente numero di “marinai” ha permesso alla barca di Pietro di navigare, nonostante le tempeste. Il libro è nato anche per non dimenticarli.
Nel volume troviamo uno spaccato del popolo di Dio: laici, religiosi, uomini, donne, santi e pontefici. C’è un filo conduttore che accomuna tante voci?
Sì, è la testimonianza di chi ha creduto che l’attuazione del Concilio era un bene per la Chiesa; di chi pur parlando lingue diverse, abitato in continenti diversi, affrontato situazioni diverse, si è fatto capire da tutti, perché il suo linguaggio è stato il più semplice da sempre, l’amore.
Perché è necessaria una “conversione sinodale”?
Perché, come dice Papa Francesco, nella Chiesa nessuno è una comparsa, ogni battezzato è protagonista. Questo concetto basilare, che troviamo nella costituzione conciliare Lumen Gentium, trova ostacoli nel clericalismo, nei formalismi, nell’autoreferenzialità.
La parola “conversione” suggerisce invece l’immagine di un’inversione di rotta nel senso della comunione, della missione e della partecipazione richieste dal Concilio Vaticano II. Un cammino, però, da fare non da soli, ma insieme agli altri, che è poi il senso del termine “sinodale”.
Si è appena chiusa la prima fase del Sinodo con la pubblicazione dell’Instrumentum laboris e, a ottobre, si aprirà la seconda. Nel documento si parla di “comunione, missione e partecipazione” come questioni prioritarie per affrontare temi quali gli abusi, i divorziati risposati, le persone Lgbtq+. E si chiede più spazio ai laici e alle donne, per una “sana decentralizzazione” nell’esercizio del primato…
È bene che dietro la spinta venuta, nei mesi scorsi, dalle assemblee diocesane del popolo di Dio e dalle Conferenze episcopali, tornino nel prossimo Sinodo argomenti scottanti.
Gesù ha detto di essere “la via, la verità e la vita”: la Chiesa non può nascondersi!
Aspettiamo di sapere cosa il Sinodo dirà in autunno sugli argomenti citati. Ciò che trovo positivo è che nel Documento di lavoro “non è stato messo il carro davanti ai buoi”! Si sono poste domande a cui i partecipanti al Sinodo – vescovi, sacerdoti, consacrati e laici – dovranno rispondere, con l’aiuto dello Spirito Santo. Vedremo!
Intanto che risposta ha trovato alla domanda che apre il suo libro: dove ci condurrà il Concilio?
Temo che continuerà a tormentarmi, pensando che nella storia molte indicazioni dei concili devono ancora essere messe in atto! Ma dalle interviste a protagonisti della Chiesa postconciliare ho capito una cosa: ogni cristiano è chiamato a fare la propria parte. Si era appena chiuso il Concilio quando a Madre Teresa di Calcutta chiesi da dove la Chiesa avrebbe dovuto cominciare ad attuarlo: “Amarsi gli uni gli altri come Dio ci ama – fu la risposta -. Fare tutto per Gesù. Dove c’è amore di Dio, c’è pace, c’è gioia, c’è unità”.